di g.g.
Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Luca 24, 13-35)
Il racconto dei discepoli di Emmaus, che troviamo soltanto in Luca, costituisce una delle narrazioni più suggestive del Nuovo Testamento. La sua struttura narrativa ne fa una storia edificante, un racconto di riflessione, una spiegazione teologica della morte di Gesù in cui egli stesso spiega il significato della sua fine: «Bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E così «…spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (vv. 26-27).
Dunque il significato di questo episodio è quello di una spiegazione teologica piuttosto che una cronaca. Un racconto che comunque si propone in maniera differente rispetto agli altri racconti delle apparizioni che sono presenti nel Nuovo Testamento. Infatti «nel racconto dei discepoli di Emmaus non si parla propriamente di visione del risorto, bensì del suo riconoscimento (epigignoskein): nessuna visione sensibile, solo riconoscimento della sua presenza attiva con gli occhi della fede» (Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, pag. 546).
Le visioni, le apparizioni, la tomba vuota hanno sempre appassionato gli storici e gli esegeti e non possono non creare dubbi a chi si pone in maniera critica di fronte alla tradizione delle comunità cristiane e alla propria ricerca di fede. Un dubbio che nasce anche da fatto che nei vangeli non è mai narrata la resurrezione. Il biblista Alberto Maggi ci ricorda come: «Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: nessuno ci dice come è risorto Gesù ma tutti ci dicono come è possibile sperimentarlo resuscitato. E come è possibile sperimentarlo resuscitato? Vivendo come lui è
vissuto».
Tentare una rilettura
Riportare l’interesse sulla vita di Gesù, su come egli ha vissuto, significa abbandonare in qualche modo secoli di incrostazioni, di orpelli e di sovrastrutture che non appartengono all’evangelo. Riscoprire il Gesù storico, che ha vissuto per le strade della Palestina duemila anni fa, non può far altro che liberare la fede.
Questo significa anche ricondurre su un piano etico la propria esperienza di fede, ridargli un significato – cosa non facile e non immediata – che possa andare oltre all’ipostatizzazione che nei secoli è stata fatta di Gesù, fino a volerne fare un Dio. Spostarsi dalla fede in Gesù alla fede nel Dio di Gesù non è facile e molte volte è anche doloroso. Ma significa credere che la fede è vita, che gli uomini e le donne sono stati creati per vivere più che per credere, per «ben vivere» – come usano dire i popoli indigeni dell’America Latina.
I discepoli di Emmaus sono in cammino sulla strada, ritornano a casa dopo una delusione, dopo aver creduto che qualcosa con Gesù sarebbe potuta cambiare. In questa storia la dimensione del cammino è molto importante: non si può non camminare. Anche dopo le delusioni è importante riprendere la strada e non restare fermi sulle proprie sconfitte. E, come il pellegrino che accompagna i discepoli tenta di spiegar loro il senso delle Scritture, così anche noi bisogna cercare di ridare senso alla nostra esistenza.
Gli occhi dei discepoli sono lo strumento attraverso cui questo racconto prende corpo e si sviluppa. Nella prima parte gli occhi sono impediti, incapaci nel riconoscerlo. La loro delusione di fronte al racconto del sepolcro vuoto è grande: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele». Dopo che il Risorto «prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» gli occhi dei discepoli si aprirono e lo riconobbero. Al momento giusto, però, «lui sparì dalla loro vista».