venerdì 23 ottobre 2009

Dibattito su Ivan Illich/2

La pubblicazione su questo blog dell’articolo di risposta a Lucetta Scaraffia ha prodotto un dibattito a nostro avviso interessante (vedi qui), al quale ha partecipato la stessa Scaraffia. Ora, dopo la nostra recensione dell'ultimo libro di Illich, La perdita dei sensi, nuove voci si sono aggiunte al dibattito. Si tratta di Giannozzo Pucci, direttore editoriale della Libreria editrice fiorentina e curatore dell'ultimo libro di Illich.


Pucci ci ha scritto:
Grazie per la recensione approfondita e che offre importanti contributi al dibattito su Illich [...].

Nel merito c'è solo un punto del saggio su Leopold Khor da cui, usando l'argomento di Ivan della visione faccia a faccia , traggo una conclusione diversa.

Nella tradizione cristiana fin dalle origini (Luca 1:26-45: «quando Elisabetta sentì il saluto di Maria, il bambino sobbalzò nel suo grembo») confermata dai padri della Chiesa san Basilio, san Gregorio di Nissa e Tertulliano col principio dell’animazione immediata, la visione faccia a faccia della donna in attesa comprendeva in lei anche l’umanità di un bambino.

C’è una lunga storia europea di esposizione di bambini dalle membra mal fatte che, a partire dai popoli guerrieri spartani e romani, ha continuato nei secoli, ma i cristiani, come testimoniato dalla Lettera a Diogneto del secondo secolo, «non espongono i loro nati»: infatti se al cristiano è chiesto di amare il nemico, tanto più accoglierà con amore il cammino di un bambino/mostro che gli viene a complicare la vita.
Giannozzo Pucci

La nostra risposta:
Gentilissimo Pucci,
la ringrazio per l'attenzione e i risconti critici che ha voluto farmi [...] Devo davvero ringraziarla per il prezioso lavoro di cui la LEF si è fatta carico pubblicando La perdita dei sensi. Ogni sforzo editoriale che cerca di guardare al di là delle ragioni puramente economiche e che si impegna in una 'missione' culturale e civile è da apprezzare e appoggiare sempre.

Riguardo le sue critiche nel merito, che se ho ben inteso si riferiscono alla questione dell'inizio vita, mi sono limitato nella mia recensione a riportare le parole di Illich, inserendole in un contesto specifico e cercando di restituire complessità al pensiero di Illich, che a volte viene tirato per la giacchetta a destra o a manca (si veda l'articolo della Scaraffia). Non mi sembra con questo di aver proposto un Illich abortista - lungi da me - ma piuttosto, forse, un Illich che sull'aborto è vicino a posizioni pasoliniane e che fa riferimento - come ricorda spesso - al tomismo, che certo non pensava che l'embrione fosse 'una vita'. Ora, probabilmente nel mio articolo questo non risulta del tutto chiaro, se è così me ne scuso, ma del resto non pensavo di essere esaustivo sull'argomento.

In questi anni, durante i quali mi sono avvicinato a Illich, grazie anche a iniziative editoriali come la sua, sono sempre rimasto colpito dalla capacità di Ivan di 'sviare' e di sovvertire la ragionevolezza apparente di alcuni discorsi. Mi pare che la mia analisi, nel porre Illich fuori e al di là del discorso 'bioeticista', sia e resti valida, per le ragioni di cui ho scritto, tenendo anche conto di una concezione del faccia a faccia e di un ethos strettamente legato all'ethnos.

La ringrazio ancora per la sua attenzione e gentilezza
Saluti cordiali
G.G.


Risposta di Pucci:
Gent.mo Gendusa,
la sua analisi nel porre Illich fuori dal discorso bioeticista è indiscutibile, lo stesso Giuseppe Sermonti (principale critico italiano di Darwin) ha avuto parole di fuoco contro la bioetica come sottoprodotto dell'etica, e come tale impotente davanti al trono della religione scientifica e del principio di efficienza. Teddy Goldsmith, che non era cattolico e aveva un supremo rispetto e ammirazione per le religioni naturali, ha scritto un saggio strepitoso che non cita nemmeno una volta la tradizione ebraico cristiana ma solo la religiosità indigena che, come San Tommaso, vede nella natura un'autorità etica a cui l'uomo deve inchinarsi, mentre i neodarwiniani la considerano un'invenzione, cioè un frutto dell'onnipotenza umana.

Forse si potrebbe essere più dialettici con la Scaraffia e porle il problema come l'ha posto Ivan alle monache benedettine di Regina Laudis. Il caso Englaro ci ha dimostrato che quando accettiamo di metterci in guerra con ogni arma contro la morte cominciamo un percorso diabolico e poi nel caso specifico staccare il sondino sulla base di un giudizio su se la longevità postuma di tizio o di caia valga la pena di essere vissuta si avvicina pericolosamente ai ragionamenti nazionalsocialisti coi quali i matti venivano mandati alle camere a gas. Di fronte a tutto questo, nasce giustificatamente il dubbio che sdraiarsi nella neve come facevano i vecchi esquimesi, possa essere moralmente meno grave. In fondo anche la polmonite di Tolstoi presa sul treno della sua fuga, per non essersi coperto abbastanza e aver voluto sfidare il vento, ha un senso vicino al dubbio che avanza il libro che mi sembra rappresenti qualcosa di molto importante nell'opera di Illich. Mi manca ancora di pubblicare l'ultimo seminario che Ivan ha tenuto a Camaldoli nel maggio 2002 (prima di entrare in ospedale a Firenze per una tremenda pancreatite che lo portò vicino alla morte già nel giugno) e che cominciava così: "Una delle ragioni che mi rendono difficile l’insegnamento oggi è che quella frase di Darwin che tu mi hai letto, che non conoscevo, in un certo senso la sottoscriverei. Fatemela leggere ancora una volta. 'Fra qualche tempo a venire, non molto lontano se misurato in secoli (già c’è il senso moderno del probabilismo) è quasi certo che le razze umane più civili (oggi si direbbe più nordatlantiche, più anglofone) stermineranno e sostituiranno in tutto il mondo le altre'. Con la dichiarazione di guerra al signore terrorista (immaginarsi che onore per un terrorista avere una dichiarazione di guerra dalla maggiore potenza del mondo). Che cos’è la guerra, dove siamo? siamo su quella strada dello sterminio delle altre colture".

Ho in preparazione la traduzione del libro di Carl Amery Hitler come precursore che forse intitolerò Hitler come profeta della modernità nel quale si tira fuori dall'armadio il vero cadavere della nostra civiltà, le sue ispirazioni filosofiche fondamentali che si sono travestite di democrazia, di comprensione e anche di sinistra per trasferirsi dai vinti della seconda guerra mondiale ai vincitori diventando mentalità comune anche fra molti bravi cattolici.

Con amicizia e auguri di buon lavoro anche a lei.
Giannozzo Pucci

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