mercoledì 28 maggio 2008

Commento al vangelo di domenica 1 giugno 2008

Non dite «Signore»,

costruite la casa!

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». (Matteo 7, 21-27)


Non chi dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre mio.

Il brano è aperto da una parola che è costruita attorno ad un’antitesi. Da una parte l’acclamazione verbalistica a Gesù, invocato da «chiunque» come Signore, e dall’altra il rimprovero di Gesù che pone l’attenzione sull’attuazione della volontà del Padre che è nei cieli, l’unico che è Signore. È il Regno ad essere centrale e non i titoli, il culto, le devozioni, le pratiche religiose, le leggi (“naturali” o divine). Ciò che conta davvero per la vita degli uomini e delle donne – come Gesù ci ha insegnato nella sua predicazione – è il Regno, la volontà di Dio.

Molti si dicono cristiani – e lo fanno con orgoglio – per una rivendicazione identitaria che nulla ha a che vedere con il Nazareno. Altri si dicono cristiani per un senso di appartenenza alla Chiesa: ma anche questo, a volte, sembra essere solo una denominazione priva di contenuto. Forse bisognerebbe concentrarsi meno sulle parole («non chi dice…») e fare più attenzione alla Parola (la Bibbia, la vita…). E se proprio non si può fare a meno di inquadrarsi all’interno di una denominazione che esprima un’identità – prima che una realtà – forse è meglio lasciare che siano gli altri a definirci cristiani.

Le parole di Gesù sono un monito contro l’ipocrisia, contro le facili categorie ed etichette che spesso si tende ad applicare alla realtà, alla persone (soprattutto agli altri). La sua attenzione è tutta per il Regno, e non certo per una chiesa (cosa che non ha mai inteso fondare). La sua predicazione si snoda attorno al concetto della volontà di Dio. Per noi si pone il problema di capire in cosa consiste questa «volontà di Dio» e cos’è la «Signoria di Dio». Vengono qui in mente le grandi parole del giudizio: «Venite prendete possesso del Regno, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, sono stato forestiero e mi avete accolto» (Mt 25, 34ss) – parole, ahimè, quanto mai attuali in questi giorni! Ma Gesù di Nazaret ci indica direttamente con l’esempio della sua vita il significato di “Regno di Dio”. La sua esperienza è esempio, è coincidenza tra parola predicata e vita vissuta. In questo sta tutta la forza del suo messaggio: in Gesù – come in pochissimi uomini nella storia – teoria e prassi sono coincise senza mortificare l’umanità. Una testimonianza che nella sua radicalità ha avuto come estrema conseguenza la morte.

Ma «Signore, noi abbiamo parlato nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome!» – dicono. Questo non basta – sembra rispondere Gesù. E del resto l’esempio è sotto gli occhi di tutti: ogni giorno c’è chi compie atti iniqui nel nome di Gesù, e peggio di Dio, arrivando a giustificare anche la guerra. (Basti pensare ai cosiddetti teo-con, teo-dem e affini…). Ogni giorno c’è chi pronuncia parole (Cristo, Signore, ecc…) che non hanno più senso, che sono inserite in una ritualità formalistica priva di aderenza alla realtà. Ogni giorno le gerarchie vaticane, sempre in nome di Gesù, proclamano anatemi e scomuniche… allontanandosi così dalla volontà di Dio che vuole «misericordia e non sacrifici» (cfr. Os, 6,6; Mt 9,12-13; Mt 12,7). Così Pasolini, con parole sempre attuali, commentava le sentenze della Sacra Rota nel 1974: «La Chiesa [nell’emanare sentenze, con il suo Codice di diritto canonico] si rivela del tutto staccata dall’insegnamento del Vangelo. Cristo viene ricordato solo attraverso formule, attraverso meri riferimenti nominali. L’amore è ignorato del tutto»1, come dire: il vangelo non c’entra nulla!

Ma è Gesù a prendere le distanze: «Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità». Egli “scomunica” a sua volta chi si fregia ipocritamente del suo nome, con una formula in uso presso i maestri che non riconoscevano più i loro discepoli.


La casa sulla roccia

Tutti vorremmo vivere su una roccia, sulla sicurezza. Invece la vita insegna che la precarietà, la debolezza, la finitezza sono parte costitutiva dell’esperienza umana (e forse è anche un bene che sia così!). Ci troviamo a vivere giorni insicuri, di paura: sentimenti che sono strumentalizzati dai media e dalla “politica acchiappa voti” e che innescano situazioni di odio, di xenofobia, di omofobia, di violenza… Le vittime sono i più deboli: rom, gay, donne, poveri… Ma Gesù ci dice che la sicurezza è nella parola, e quindi nella “conversazione” e nell’ascolto, ma anche nell’azione, nell’accoglienza. Non basta ascoltare, bisogna «mettere in pratica», guardarsi negli occhi, accogliersi e fare insieme.

Nella parabola tutto ruota sul «mettere in pratica»: è questo il distinguo tra l’uomo saggio e l’uomo stolto. Gesù, con la sua vicenda umana, ci ricorda che il Regno si costruisce giorno per giorno e con gesti concreti. Con prese di posizione che cambiano la vita, la trasformano e la aprono all’altro, al diverso.

E allora «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia». Qualsiasi cosa accadrà l’uomo saggio rimarrà coerente, non avrà di che rimproverarsi e vivrà nell’amore, senza il timore dell’insicurezza perché la sua vita si fonda su una parola messa in pratica, una parola viva.

Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
(Salmo 126, 1-2)

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1 P.P. Pasolini, La Chiesa, i peni e le vagine, in Scritti corsari, Milano 1975, pag. 192.

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