di Raniero La Valle
Nel deserto creatosi in Italia con le ultime elezioni, già popolato però dai fantasmi dell’intolleranza e del razzismo, molti cantieri sono all’opera per una ripresa in diverse forme del discorso politico. C’è un cantiere aperto nella destra, per costruire l’immagine di un “nuovo” Berlusconi e di uno squadrismo non fascista; c’è un cantiere aperto nella ridotta veltroniana, dove sembra annunciarsi una riconversione alle alleanze e il desiderio di un “nuovo centro-sinistra”; c’è un cantiere aperto nella sinistra, dove è in gioco il futuro di Rifondazione e di tutti i colori dell’arcobaleno.
Non c’è un cantiere per i cattolici: non avrebbe senso perché i cattolici non sono una categoria politica e la loro aggregazione non è un partito ma una Chiesa. Non che essi non siano influenti: molti di loro sono presenti nell’uno e nell’altro schieramento, e quanto a influenza nella società e nelle istituzioni la Conferenza episcopale italiana non è seconda a nessuno. Ma la stagione dell’unità politica dei cattolici è per fortuna conclusa, e ci sono buone ragioni politiche, teologiche ed ecclesiali che ne sconsigliano fermamente ogni possibile restaurazione.
Mentre sono al lavoro tanti cantieri, nella politica italiana si avverte tuttavia un vuoto pauroso, derivante dall’assenza di soggettività politiche che furono in altri momenti assai importanti e anche decisive per la crescita democratica e spirituale del Paese. Nessun problema di identità perdute, che sarebbe sterile e regressivo rivendicare. Ma c’è un problema di contenuti di elaborazione e di lotta politica che, soprattutto dopo la crisi e la sconfitta delle sinistre storiche nel tempo della globalizzazione, rischiano di essere gravemente compromessi nella progettazione del futuro. Se ne possono fare diversi elenchi; noi ne facciamo uno traendolo da fonti insuperabili della nostra tradizione comune; è l’elenco risultante dalla somma dei “segni dei tempi” della Pacem in terris e del privilegio attribuito ai poveri, ai sofferenti e ai militanti per la giustizia dalle Beatitudini evangeliche.
Si tratta di contenuti che sono assunti dal linguaggio profano e riguardano realtà storiche e temporali, proiettate però verso una pienezza di umanità quale è desiderata da Dio.
L’elenco che ne risulta è questo: ascesa delle classi lavoratrici e riscatto personalista del lavoro; dignità realizzata della donna, liberazione dei popoli dal dominio; pace come alternativa complessiva alla guerra illegittima e contraria alla ragione; democrazia internazionale e sviluppo dell’ONU, regole per il potere, diritti fondamentali e loro garanzia nelle Costituzioni; eguaglianza per natura di tutti gli esseri umani e anche delle comunità politiche; rovesciamento in una felice condizione umana dell’afflizione dei poveri, dei perseguitati, dei piangenti, delle vittime d’ingiustizia.
Non si tratta di postulati ideologici, si tratta di contenuti politici che di fatto, nell’attuale bipartizione politica che schiaccia la realtà sui due poli di destra e di sinistra, figurano come contenuti di sinistra. Per sostenerli ed attuarli potrebbero riunirsi in forma organizzata e “in modo onesto” dei gruppi di cattolici e cristiani disponibili all’impegno politico: non tutti, perché sulla sostanza e sulla realizzazione di queste cose ci sono tra i cristiani, legittimamente, come dice il Concilio, opinioni diverse e d’altronde, ponendosi questi cristiani apertamente come parte, né pretenderebbero con piglio integristico di rappresentare tutti i fedeli, né potrebbero in modo clericale rivendicare a proprio favore l’autorità della Chiesa.
Ma con quale nome potrebbero affacciarsi alla scena? Un pregiudizio fondato su una errata accezione della laicità (fare finta che la fede non ci sia), e il linguaggio oggi “politicamente corretto”, porterebbero questi credenti a restare anonimi, prendendo nomi di fantasia, tipo “Pace e diritti”, “Pace e lavoro” e simili. Ma anche questa stagione è passata. Se il nome deve corrispondere alla cosa, a contenuti di sinistra e al lottare per essi come cristiani, conviene il nome di “sinistra cristiana”. È un nome che si può assumere, nel deserto di cui abbiamo detto, senza infingimenti e senza autocensure. Non esprime un’ideologia: una sinistra cristiana è stata presente in Italia sotto diversi nomi e in diverse forme: perfino l’Opera dei Congressi fu di sinistra quando approdò all’antitemporalismo; e così fu l’”Avvenire d’Italia” di Rocco d’Adria; di sinistra cristiana furono l’intransigentismo, il proporzionalismo e la posizione anti-clericomoderata di Sturzo, lo sono stati poi i partigiani cristiani, i professorini che hanno scritto le pagine più alte della Costituzione repubblicana, la sinistra cristiana di Ossicini e di Rodano e quella democristiana di Vanoni, Mattei, Pistelli, Granelli, la Sinistra Indipendente del 1976 e la scelta politica finita nel martirio di Moro.
È una tradizione antica, che si può riproporre oggi per pensare di nuovo la politica e farla di nuovo. Non senza alleanze, incontri e salutari meticciati. Non per il potere di pochi ma per la salvezza di molti.
Articolo in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, "Rocca".