giovedì 3 luglio 2008

Commento al vangelo di domenica 6 luglio 2008

La profezia appartiene ai piccoli

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Matteo 11, 25-30)

Questa preghiera di Gesù è come un sussulto di gioia. L’evangelista Matteo la inserisce in un contesto in cui Gesù viene ostacolato e i suoi oppositori non lo comprendono. Nonostante il rifiuto, Gesù esprime il suo sì gioioso al Padre e al suo disegno. La parola di Gesù che annuncia il Regno viene rifiutata dai capi religiosi del popolo, ma allo stesso tempo viene accolta dalla gente semplice e ignorante – qui sta la vera forza dell’annuncio del Galileo.

La missione di Gesù si sta rivelando un fallimento. Tuttavia gli unici che sembrano accogliere il suo messaggio sono i semplici. Gesù non può fare altro che domandarsi il perché di questo. Egli riconosce, in qualche modo, la presenza salvifica di Dio in questo momento storico. Con stupore, Gesù constata che i sapienti, cioè i farisei e i maestri della legge, sono tagliati fuori, mentre i piccoli d’intelligenza, cioè il popolino semplice e ignorante delle prescrizioni della legge mosaica, diventano i beneficiari dell’avvenimento di grazia. Sono questi ultimi, tagliati fuori dal rapporto «diretto» con Dio, che riconoscono davvero la presenza di Dio nella storia.

Solo i «piccoli», infatti, sono abituati a vivere e, quindi, a riconoscere il valore della vita e la presenza del Padre. Essi non sono sacerdoti, non sono funzionari di Dio, non sono gli addetti ai lavori. Sono persone semplici che vivono, soffrono, amano, conoscono cosa significa procurarsi il necessario per vivere lavorando, conoscono le difficoltà della vita e possono provare su di esse la loro fede.

Gesù fa questa scoperta stupefacente: i «grandi» sono chiusi nella loro autosufficienza, mentre i «piccoli» sono capaci di aprirsi umilmente al dono di Dio. Questa scoperta è per lui fantastica, tanto da dover innalzare a Dio un canto, una preghiera di lode per ringraziarlo del suo amore: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra».

Dio è presente nella storia in maniera inedita, nuova, inattesa. La sua azione non si può prevedere. Dio non si fa ridurre all’interno di schemi costruiti e preconfezionati da quelli che di mestiere fanno i teologi, i sacerdoti, i dottori.

Questa affermazione appare così vera oggi! Ci troviamo di fronte a situazioni dove, di fronte alla precarietà, all’incertezza, alla confusione, le autorità tradizionalmente detentrici del potere interpretativo, sacerdotale, salvifico (le chiese, le gerarchie...) tendono a chiudersi, ad arroccarsi sui propri baluardi, a non transigere su quelli che chiamano «valori non negoziabili». Eppure non si accorgono che le sfide che la modernità pone – che in fin dei conti sono le sfide della vita di oggi – potrebbero essere il luogo della profezia, della presenza di Dio nella storia, oggi. Non si accorgono nemmeno che è inutile nascondersi dietro un dito ma accorre affrontare le situazioni con coraggio. Non basta scappare e tacciare tutto quello che non appartiene alla propria tradizione religiosa di «relativismo»!

Questi che si credono «sapienti e intelligenti» hanno gli occhi chiusi, le ali tarpate, le mani rattrappite, le orecchie tappate, il naso otturato. Non vogliono vedere Dio presente nelle donne, nelle nuove forme di amore che pretendono – giustamente – anche un riconoscimento politico e sociale. Non vogliono vedere la grazia nella possibilità dell’uomo di esplorare e comprendere il cosmo, la natura, la vita. Non vogliono riconoscere l’esigenza di un nuovo modello economico di sviluppo che sia giusto, che non mieta vittime innocenti a causa della fame, a causa della ricchezza di quel 15% del pianeta che si ritiene «fortunato» invece che colpevole. Questi «intelligentoni» non hanno il coraggio della partecipazione consapevole, della democrazia, non hanno neppure il coraggio profetico di condannare la guerra senza «se» e senza «ma».

Sostanzialmente, oltre alla conservazione del potere che è tipica dell’istituzione, costoro hanno paura del diverso, della novità, della possibilità, della molteplicità. Non mi riferisco solo alle gerarchie cattoliche – senza con questo voler togliere loro la responsabilità che gli spetta – ma anche a tutti coloro che vorrebbero vivere in pace, tranquilli, senza l’inquietudine di scoprire che la realtà è molto più complessa di come appare a prima vista. Mi riferiscono a coloro che vorrebbero nascondere i gay, che li vorrebbero in giacca e cravatta – danno meno fastidio certo! – mi riferisco a chi ha paura dello straniero, a chi vorrebbe schedare su base razziale, addirittura, i bambini.

Ma Gesù ha scoperto che Dio è più grande di tutte queste cose, che abbraccia tutti senza riserve. Ha scoperto quanto l’amore travalica le barriere sociali, sessuali, razziali... Quando gli uomini e le donne faranno la stessa scoperta che ha fatto Gesù?

Il giogo che questi «intelligenti», potenti e grandi della storia, hanno caricato sulla nostra schiena è insopportabile. Al tempo di Gesù i dottori della legge e i farisei avevano imposto al popolino pesi troppo pesanti da portare. Infatti avevano costruito attorno alla legge di Dio una fittissima siepe di prescrizioni minuziose che, sotto il peso di un’osservanza rigida e scrupolosa, soffocavano lo slancio obbediente della libertà dell’uomo. Gesù si mostra un maestro diverso, come diversa è la legge (il giogo) che ci insegna: leggera, non onerosa. Egli propone di diventare suoi discepoli. Discepoli di un maestro «non violento né altero». Egli non si impone con violenza; al contrario è solidale con gli umili e con i poveri. Il suo giogo facile da portare consiste nell’imitarlo sulla strada dell’amore del prossimo, un amore compassionevole e misericordioso. Così egli promette ai suoi discepoli profonda pace nella loro vita.

Anche noi, oggi, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere questa presenza di Dio nella nostra storia. Non possiamo demandare il compito agli altri. A volte siamo bloccati e incapaci di vedere le cose belle che Dio rivela ai piccoli. I nostri occhi fanno fatica a distogliersi dagli accadimenti dolorosi, dalle violenze, dalle ingiustizie. Oggi è il tempo della profezia. Non possiamo più aspettare i «profeti»; questi ormai sono passati. Troppe volte, anche nelle nostre comunità, si sente il rimpianto per gli uomini e le donne a cui il Signore ha affidato il compito della profezia nel passato; «ah come era bello quando c’era questo o quel profeta: lui sì che non aveva paura di dire le verità scomode!». Basta rimpianti! Dobbiamo avere il coraggio di prendere, di assumere, questa profezia nella nostra vita; di farla nostra, di non aspettare che venga qualcun’altro a raccontarcela, a raccontarla. Ognuno nel suo piccolo, con la libertà che Dio ci ha dato, deve riscattare la profezia. Il coraggio della profezia spetta solo a noi, e si realizza all’interno delle nostre piccole vite, ogni giorno.

Un anno fa Frei Betto (domenicano e teologo della liberazione brasiliano) elaborò una «nuova» professione di fede che qui voglio proporvi:

Credo nel Dio liberato dal Vaticano e da tutte le religioni esistenti e che esisteranno. Il Dio che è antecedente a tutti i battesimi, pre-esistente ai sacramenti e che và oltre tutte le dottrine religiose. Libero dai teologi, si dirama gratuitamente nel cuore di tutti, credenti e atei, buoni e cattivi, di quelli che si credono salvati e di quelli che si credono figli della perdizione, e anche di quelli che sono indifferenti al mistero di ciò che sarà dopo la morte.

Credo nel Dio che non ha religione, creatore dell’universo, donatore della vita e della fede, presente in pienezza nella natura e nell’essere umano. Dio orefice di ogni piccolo anello delle particelle elementari, dalla raffinata architettura del cervello umano fino al sofisticato tessuto dei quark.

Credo nel Dio che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, attrae, collega e unisce: l’amore. Tutto l’amore è Dio e Dio è il reale. E trattandosi di Dio, non si tratta dell’assetato che cerca l’acqua ma del’acqua che cerca l’assetato.

Credo nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri. Credo nella teofania permanente e nello specchio dell’anima che mi fa vedere gli altri diversi dal mio io. Credo nel Dio, che come il calore del sole, sento sulla pelle, anche se non riesco a contemplare la stella che mi riscalda.

Credo nel Dio della fede di Gesù, Dio che si fa bambino nel ventre vuoto della mendicante e si accosta nell’amaca per riposarsi dalle fatiche del mondo. Il Dio dell’arca di Noé, dei cavalli di fuoco di Elia, della balena di Giona. Il Dio che sorpassa la nostra fede, dissente dei nostri giudizi e ride delle nostre pretese; che si infastidisce dei nostri sermoni moralisti e si diverte quando il nostro impeto ci fa proferire blasfemie.

Credo nel Dio che, nella mia infanzia, piantò una acacia in ogni stella e, nella mia giovinezza, si mise in ombra quando mi vide baciare la mia prima innamorata. Dio festeggiatore e bisboccione, lui che creò la luna per adornare la notte della delizia e l’aurora per incorniciare la sinfonia del volo degli uccelli all’albeggiare.

Credo nel Dio dei maniaci-depressi, dell’ossessione psicotica, della schizofrenia allucinata. Il Dio dell’arte che denuda il reale e fa risplendere la bellezza pregna di densità spirituale. Dio ballerino che, sulla punta dei piedi, entra in silenzio sul palcoscenico del cuore e, cominciata la musica, ci afferra fino alla sazietà.

Credo nel Dio dello stupore di Maria, del camminare laborioso delle formiche e dello sbadiglio siderale dei fiorellini neri. Dio spogliato, montato su un asino, senza una pietra dove appoggiare il capo, atterrato dalla sua stessa debolezza.

Credo nel Dio che si nasconde nel rovescio nella ragione atea, che osserva l’impegno dei scienziati per decifrare il suo gioco, che si incanta con la liturgia amorosa dei corpi che giocano per ubriacare lo spirito.

Credo nel Dio intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui. Dio, misericordioso, si fa quatto fino alla nostra piccolezza, supplica un soave messaggio e chiede una ninna nanna, esausto davanti alla profusione delle idiozie umane.

Credo, soprattutto, che Dio crede in me, in ognuno di noi, in tutti gli esseri generati per il mistero abissale di tre persone unite per amore e la cui sufficienza traboccò in questa creazione sostenuta, in tutto il suo splendore, dal filo fragile del nostro atto di fede.

(Frei Betto, Un nuovo credo, nostra traduzione dallo spagnolo)

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