sabato 11 ottobre 2008

Incontro della Sinistra cristiana - la relazione

Cristiani
perché la sinistra ha ancora bisogno di noi.

Dalla relazione introduttiva al Convegno della Sinistra cristiana.

di Raniero La Valle

Ci sono discorsi che non si possono improvvisare, alcuni per farli ci vuole una vita. Sarebbe tempo che i politici si mettessero a scrivere i loro discorsi, per far sì che il pensiero preceda la parola. In verità parlare senza leggere è considerata una virtù del buon politico; è un ingrediente del successo in tempi di grandi comunicatori. Nella campagna elettorale americana si vedono i candidati che parlano a lungo fissando negli occhi le telecamere; in realtà leggono il gobbo, che è un modo di leggere senza farsene accorgere.

Una volta leggevo in Senato il mio discorso. Si discuteva la legge 194 sull'aborto. Era un discorso delicato, perché come cristiani della Sinistra indipendente noi non volevamo solo agitare una bandiera - quello si poteva fare anche parlando a braccio - ma volevamo fare una legge equilibrata, che non tradisse nessun principio, ma che ci facesse uscire dalla logica punitiva della legge penale. Perciò leggevo il mio discorso. E a un certo punto il presidente del Senato, Fanfani, mi interruppe e mi disse: sen. La Valle, lei fa tante citazioni, ma dovrebbe conoscere anche il regolamento del Senato, che vieta di leggere i discorsi in aula. Infatti nel regolamento c'era una norma bizzarra di questo genere, non so se ci sia ancora; forse era il residuo di un tempo in cui in Parlamento si andava solo per parlare, perché a decidere ci pensavano gli altri; un po' come si vorrebbe fare oggi offrendo qualche seggio agli esclusi come "diritto di tribuna", una tribuna fatta per i tromboni. Quella norma del regolamento era giustamente in disuso, ed era la prima volta, che io sappia, che un presidente redarguiva un senatore perché aveva preparato il suo discorso. Ma è chiaro che era un modo per prendere le distanze da quello che dicevo, non un cavillo regolamentare; anche quando si presiede il Senato si fa politica, non ci si limita a un ruolo di garanzia.

Il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi, era, indetta dalla Nazioni unite, la giornata della Satyagraha , che è la ricerca gandhiana della verità e dell'amore, altrimenti detta nonviolenza. Io ricordo la commozione di Dossetti, quando fece sosta presso la tomba di Gandhi a Nuova Delhi, durante un viaggio in India. Dossetti è uno dei maestri che sta nella nostra tradizione; e quella visita alla tomba di Gandhi non era solo un omaggio a un altro grande maestro, era stabilire una comunione, forse una preghiera in comune.

Gandhi non è solo il liberatore dell'India; prima ancora è stato difensore e redentore degli immigrati, quando egli stesso era immigrato in Sudafrica, e come avvocato indiano era considerato meno che niente. Gandhi lottò non solo per sé, ma per dare dignità e parità di diritti agli immigrati: ed è proprio lì, nel ricco e bianco Sudafrica nero che egli ha cominciato ad essere quello che poi sarebbe diventato.

Per questo bisogna accogliete gli immigrati: perché in ogni immigrato che sbarca a Lampedusa o che viene dall'Est ci potrebbe essere un Gandhi, ci potrebbe essere un liberatore del suo popolo o di molti popoli. Anzi è proprio questa la nuova obiezione di coscienza da fare, contro le leggi antixenite ; e le chiamo antixenite, e non xenofobe, perché non sono affatto leggi dettate dalla paura, ma sono leggi dettate dal razzismo, dall'odio e dal rifiuto, esattamente come lo erano le norme antisemite.

Questa è la nuova obiezione. In Italia non si può fare più l'obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, perché quando l'obiezione passò da concessione del potere a diritto del cittadino, per buttare l'obiezione buttarono via l'esercito di leva. Non si può fare e non si deve fare l'obiezione fiscale, perché quella l'ha fatta il governo, l'ha fatta la destra diffamando le tasse, definendo come un furto o come un borseggio ogni prelievo fiscale; lo ha fatto trasformando le elezioni in un referendum anticostituzionale sull'Ici; la destra non toglie le tasse, ma le delegittima, allo scopo di togliere allo Stato tutte le sue risorse, tutti i soldi per la spesa pubblica e così poter dire, per ragioni di cassa e non per ragioni ideologiche, che non si possono fare politiche sociali, che bisogna licenziare 87 mila insegnanti, che bisogna svuotare l'Istituto superiore per la sanità, che non ci sono i soldi per i comuni, non ci sono soldi per salvare l'Alitalia, non ci sono soldi per la cultura, per il teatro, per l'editoria e così finalmente riuscire a chiudere anche Liberazione e il Manifesto . L'attacco della destra al denaro pubblico è un attacco al cuore dello Stato. Senza denaro, e sperperando il poco denaro che si ha, non vivono le città. Senza più soldi, dopo l'amministrazione del dottore che cura Berlusconi, Catania era ridotta al buio e sepolta dalla spazzatura, anche se nessuno lo diceva e lo faceva vedere, perché non c'era da far perdere a Prodi le elezioni.

Allora l'obiezione da fare è quella contro le leggi ingiuste che vietano di dare ospitalità allo straniero. Nella nostra laicità, se c'è una cosa che diciamo "sacra", cioè che non si può toccare, è l'ospitalità: ma così è in tutte le culture, o almeno lo era. Noi dobbiamo fare obiezione ospitando e dando asilo agli stranieri come facemmo ospitando gli ebrei nelle nostre case e nelle nostre chiese quando, altrettanto come ora, l'ospitalità era un delitto. Naturalmente non serve fare un'obiezione spericolata, che rischi di provocare la confisca delle nostre case come minacciano le leggi razziali del governo. L'art. 5 del decreto legge sulla sicurezza che introduce nella legislazione sullo straniero la norma anti-ospitalità, dice che si commina la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la confisca dell'immobile a chi dà alloggio a uno straniero irregolare "a titolo oneroso al fine di trarne ingiusto profitto". Dunque per fare obiezione senza esporsi alla vendetta penale, basta ospitare lo straniero gratuitamente e senza "ingiusto" profitto, magari premunendosi col farne apposita dichiarazione presso un notaio. Così la norma finirà per colpire solo quelli che speculano sulla pelle dello straniero.

Ma perché è così importante il rapporto con lo straniero, e non solo in Italia?
Perché il problema globale e imprescindibile di oggi è la riconciliazione di tutti i popoli che sono l'uno all'altro stranieri; il problema è che ciascuno ritrovi la sua patria, ma la trovi oltre i suoi confini, al di là del fiume, là dove sono altri uomini e donne, altri figli e figlie come lui; se questo non si farà, non ci sarà pace sulla terra, e forse un giorno non ci sarà nemmeno la terra. È stato dato già 2000 anni fa l'annunzio della caduta del muro tra giudei e greci, cittadini e barbari, romani e sciti; è venuto il momento di dare attuazione a questo annuncio. Se non fa questo, la politica è perduta. È perduta in America, è perduta in Europa, è perduta in Israele.

Un barlume di luce è venuto in questi giorni da Israele quando il primo ministro uscente, Olmert, per la prima volta ha detto che non esiste l'ipotesi del grande Israele, dal mare al Giordano; che se Israele vuole rimanere uno Stato ebraico, e non divenire uno Stato in cui gli ebrei siano una minoranza, deve contrarsi per far posto accanto a sé a uno Stato palestinese; e per questo è stato presentato alla Knesset un disegno di legge che offre forti incentivi economici ai coloni ebrei insediati nei territori occupati, perché rientrino dentro i vecchi confini di Israele del 1967. Ciò significa dire: fin qui abbiamo sbagliato. È la rottura di un tabù, riguardo alla terra - Eretz Israel - finora vissuto in Israele come un assoluto religioso. Ma se non si rompe questo tabù, non c'è alcuna soluzione per la questione palestinese (vedete fin dove arriva la laicità!); e se le religioni per prime non tolgono la copertura religiosa alle sacre are, ai sacri fiumi e ai sacri confini della Patria, ancora di più i popoli si contrapporranno gli uni agli altri, gli Stati gli uni agli altri e le culture le une alle altre, e non potrà esserci pace, e nemmeno diritto, e quindi nemmeno politica, su scala mondiale.

Perciò è importante l'obiezione di coscienza che nega obbedienza a tutto ciò che è contro la straniero, che si tratti di armi o di basi offensive, di leggi, di sanzioni o di dazi, di apartheid e di sfruttamento.
(...)

E così veniamo alla nostra iniziativa, perché è sorta e perché ha osato presentarsi con questo nome: per giustificarne l'esistenza basterebbe questo compito, che è di lottare per l'unità internazionale, politica, pacifica, della intera famiglia umana. Mai l'umanità è stata così divisa come in questi tempi di globalizzazione. E questo ci getta nel cuore della crisi di oggi, una crisi che non è solo nostra, ma di tutti, non è della nostra o di altre nazioni, ma è una crisi globale. Il Dio Mammona ci sta per tradire. Non solo c'è la crisi della speculazione finanziaria che dai santuari dell'America e dell'Inghilterra si sta diffondendo in tutto il sistema, e anche da noi. Come dice Jeremy Rifkin ci sono tre crisi: la crisi del credito, perché si tratta di ripianare venti anni di spese pazze fatte con denaro virtuale, la crisi energetica perché il petrolio è agli sgoccioli, e la crisi del riscaldamento climatico, contro cui nessuno sa cosa fare. Sono tre elefanti, dice, che si muovono tutti e tre in una piccola stanza, con effetti devastanti. Occorre una riforma radicale del sistema ( Repubblica del 30 settembre). Come riconoscono ormai anche i più accaniti fautori del mercato, è la crisi della stessa globalizzazione e dell'attuale modo di produzione e di sviluppo. Ma al di là dell'ordine economico, la crisi investe l'intero sistema delle relazioni umane. Come interpretare questo tempo della crisi? Io ricordo che proprio Dossetti, osservando lo stato del nostro Paese e del mondo, disse una volta: non c'è più la colla. Cioè non c'è più il legame sociale che fa stare insieme sistemi complessi. E infatti se noi guardiamo alle radici più profonde della crisi, noi vediamo che esse stanno in questo venir meno della capacità, della voglia e della gioia di vivere insieme, che è ciò in cui consiste la comunità politica, la polis.

E infatti non ci sono più o sono stati licenziati i grandi strumenti di aggregazione. Qualificandole come obsolete, sono state licenziate le ideologie. Come troppo invadenti sono stati licenziati i partiti. La scuola è rovesciata in azienda, per liquidare, come si dice esplicitamente, don Milani; il movimento della pace non può più nemmeno esporre in pubblico le proprie bandiere; la Chiesa si mobilita per battaglie certamente legittime, ma che non aggregano e anzi dividono; la Costituzione, fatta a pezzi, non è più la casa comune di tutti gli italiani; e sul piano internazionale il diritto è abbandonato, le convenzioni di Ginevra sono ricusate, l'Onu vilipesa, le regole non ci sono più. Deregulation è stata l'ultima e definitiva ideologia del Novecento.
(...)

Che fare invece per ridare una chance alla politica? Che fare per ristabilire il legame sociale, per ritrovare la colla, per prendere le vie della giustizia, prima di rotture irreparabili, prima che l'amore finisca? Molti tentativi di riaggregazione sono finora falliti. Proviamoci allora come cristiani, con tutti gli altri che sono per la giustizia. Sappiamo che è una cosa temeraria. Perché giustamente non si usa più mettere la religione in mezzo alle cose politiche, perché ciò appare in contrasto con la laicità, e di fatto lo è, se a farlo sono le Chiese. Ma soprattutto è una cosa temeraria perché non impunemente ci si può dire cristiani; è un nome che non ci decora, ma che ci giudica, e richiederebbe da chiunque accetti di unirsi a questo titolo una capacità superiore di indignazione e di mitezza, di coraggio e di pazienza, di intransigenza e di indulgenza, di cui non so se tutti saremo capaci.
(...)

Può darsi che ci sbagliamo. Ma questa non è la proposta di una ideologia, tanto meno è la rivendicazione di una identità; è il ricorso a un rimedio: un pharmacon, come ha detto qualcuno. Un antidoto alla frantumazione sociale, in funzione di unità, e un antidoto anche all'appropriazione strumentale della fede, di cui la destra al potere fa largo uso, lei con i suoi atei devoti. Il pharmacon per gli antichi era insieme medicina e veleno. L'antidoto reca in sé una particella della tossina che vuole combattere. Non ci vogliono certezze, ci vuole umiltà per correre questo rischio.

Si tratta di una convocazione alla giustizia, dei cristiani che come tali sono laici, e dei laici anche se non sono cristiani. Non tanto per un incontro tra loro (questo già avviene in molti altri luoghi, ad esempio nel Partito democratico) quanto per dare aiuto all'incontro degli altri, per mettersi al servizio della società tutta intera, per rimettere in funzione quella colla che si è perduta, e che il denaro non è riuscito a rimpiazzare. Se deve essere, come abbiamo detto, un "Servizio politico", questo è nella direzione di una mediazione alta, che non è né il dialogo che un giorno si fa e l'altro si nega, né l'accordo tattico che snatura i contraenti, né il compromesso deteriore; ma è lo sforzo di promuovere i modelli sociali più alti, le soluzioni più attente agli interessi e ai valori di tutti; una mediazione alta, proiettata sulle cose da fare, nella quale ogni singola parte possa trovare una ragione e crescere essa stessa.

Ciò nell'ambito della sinistra, di cui rivendichiamo la dignità, pur nelle sue divisioni, ma anche oltre la sinistra. La contraddizione tra destra e sinistra certamente non può essere oscurata. In politica non esistono cose che non sono "né di destra né di sinistra", e se ci fossero sarebbero anch'esse di destra perché pretenderebbero sottrarsi alla verifica della critica e al vaglio della giustizia. Noi assumiamo questa contraddizione, e perciò la nostra scelta di campo è a sinistra, ma la assumiamo con dolore, perché in Italia il conflitto è stato portato al parossismo da un sistema istituzionale ed elettorale che si è impiccato al bipolarismo, e che ha trasformato la dialettica tra destra e sinistra in una spaccatura verticale tra due Italie che si detestano e si odiano e rendono impossibile perfino il pensiero di un bene comune. La dialettica politica va mantenuta, ma questa lacerazione va sanata. Per questo ci vuole una mediazione alta. Ma essa non va affidata al buonismo, bensì a una riforma del sistema elettorale e politico che dia una più ricca articolazione e proporzionalità alla rappresentanza, che non cancelli le minoranze, che ristabilisca uno snodo tra governo e parlamento perché, se i governi passano, i parlamenti restino.

da Liberazione 11/10/2008


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