domenica 6 maggio 2007

Riflessione di dom Demetrio Valentini su Aparecida


Si avvicina la tanto attesa Conferenza generale dell'episopato latinamericano di Aparecida (Brasile). In questo periodo cercheremo di seguirne gli sviluppi.


Riportiamo l'intervento di uno dei 22 delegati della chiesa brasiliana alla V Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano. Mons. Demetrio Valentini, vescovo di Jales, individua le principali sfide della V Conferenza nella ripresa delle grandi intuizioni del Concilio, nel ritorno alla pratica della Chiesa primitiva e nel recupero della forza e dell’originalità del Vangelo di Gesù. (da Adista documenti n. 30 del 21 aprile 2007).






Sulle tracce del Gesù storico


di dom Demétrio Valentini



Introduzione: una Conferenza Generale ad Aparecida

Quando a Santo Domingo, nel suo discorso di apertura, Giovanni Paolo II annunciò l’intenzione di convocare un "Sinodo continentale" per la Chiesa dell’intera America, sembrava che fosse definitivamente terminata la storia delle "Conferenze Generali dell’Episcopato latinoamericano e caraibico". L’impressione era che mai più ci sarebbero state "Conferenze generali", solo "Sinodi continentali". La Chiesa dell’America Latina non sarebbe stata più un soggetto ecclesiale, con iniziative proprie e identità differenziata. (...).
Questa apprensione prese corpo con il Sinodo per l’America realizzato nel 1997, suggerita da uno slogan ripetuto con insistenza: "Una sola America, una sola Chiesa".
A partire dal Sinodo per l’America sembravano svuotate di significato le "Conferenze generali" della Chiesa latinoamericana, tanto che, all’annuncio di questa, alcuni manifestarono sorpresa, perfino contrarietà. In una delle riunioni del "Consiglio post-sinodale" - tuttora operante - del Sinodo per l’America, il cardinale canadese Turcotte espresse la sua opposizione alla proposta di una "Conferenza" di ambito solo latinoamericano, che sembrava contraddire l’accento posto sul Sinodo per l’America.
L’occasione per superare quella che sembrava quasi una fatalità e resuscitare le aspettative venne dall’Assemblea del Celam a Caracas, nel 2001, quando il cardinale Maradiaga propose una nuova Conferenza allo scopo di celebrare il giubileo del Celam. L’ampia adesione di quasi tutti i partecipanti dette consistenza alla proposta che perciò fu portata avanti con la volontà e la speranza di concretizzarla.
La lunghezza della fase di realizzazione denota le difficoltà che il suo cammino ha incontrato. Era necessario uscire dall’improbabile, attraversare il possibile, giungere al raccomandabile e ottenere il parere di Giovanni Paolo II che sembrava aver messo fuori causa la continuità delle "Conferenze" (...).
Tutto il merito va riconosciuto all’attuale presidente del Celam, il card. Errázuriz, che prese l’iniziativa di consultare ufficialmente la Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi per sollecitare opinioni e presentarle al papa. 20 Conferenze episcopali su 22 e 18 cardinali su 30 si dichiararono favorevoli alla realizzazione della "Conferenza generale". Appresi questi risultati, il papa, in un pranzo con la Presidenza del Celam, sentenziò: "Voglio quello che la Chiesa latinoamericana vuole". Era il segnale verde (...).
All’inizio si concordò di realizzare la Conferenza a Roma, perché il papa, malato, potesse seguirla da vicino. Ma si aveva come la sensazione che questa disposizione non fosse definitiva. Tanto che, sotto sotto, circolava insistentemente la voce che, se non fosse stata a Roma, la sede della Conferenza sarebbe stata in Ecuador, ma senza che nessuno avesse il coraggio di dire la causa che avrebbe motivato il cambiamento del luogo.
Morto il papa, ovvero realizzatasi la ‘causa’, l’Ecuador perse forza a vantaggio di due altri candidati: il Cile, Paese d’origine del presidente del Celam, e l’Argentina, patria del Segretario del Celam (...).
E poi la sorpresa. Benedetto XVI, ancora in un pranzo con i cardinali rappresentanti dell’America Latina, comunicava la sua decisione: né in Cile, né in Argentina. E andrebbe quasi detto: neppure in Brasile, ma ad Aparecida! (...).
Il papa non motivò la sua scelta. Le ragioni devono essere dedotte. La più evidente è legata, mi sembra, al simbolismo di Aparecida, con tutto il complesso di circostanze che compongono oggi il panorama ecclesiale del santuario di Aparecida (...).
Ma è legittimo chiedersi se Benedetto XVI non avesse anche altre ragioni per scegliere Aparecida, dato che essa è in Brasile. Non è eccessivo immaginare che Benedetto XVI abbia pensato alla Chiesa del Brasile e al suo peso nel contesto attuale dell’America Latina. E anche al valore della sua ricca esperienza ecclesiale, con il suo dinamismo, incentivato dall’intensa opera della Cnbb ma soprattutto assunto, nella base, dal "popolo di Dio", che ha accolto con entusiasmo e creatività gli orientamenti pastorali del Vaticano II e li ha concretizzati nelle innumerevoli "comunità ecclesiali di base", sostenute dalla Parola di Dio e illuminate da una riflessione teologica che ha dato loro consistenza e fondamento.
La decisione di Benedetto XVI è legata pertanto alla Chiesa del Brasile. Anche perché la fondazione del Celam, occasione di questa Conferenza, è avvenuta in Brasile, nella Prima Conferenza Generale nel 1955 (a Rio de Janeiro, ndt). (...).
Sarebbe bene che i vescovi brasiliani si imbevessero della missione di preservare in questa Conferenza i carismi che lo Spirito ha suscitato nel cammino della Chiesa in questi 50 anni di Celam che si intende celebrare.



1. Aspettative di Aparecida


Quello che contraddistingue questa Conferenza rispetto alle altre già realizzate è la forte aspettativa che ha suscitato (...).
Conviene individuare bene da dove nascono queste aspettative.
Forse il primo motivo è nella sorpresa per la realizzazione di questa Conferenza. (...). Un altro, nel suo carattere di giubileo (...). C’è poi un altro versante di aspettative, quello dato dalla percezione che è giunta l’ora per la Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi di affrontare una nuova realtà, risultante dalle profonde trasformazioni verificatesi negli ultimi decenni e che hanno avuto grandi ripercussioni, soprattutto ecclesiali. Così, la Conferenza di Aparecida diventa il momento opportuno, per la Chiesa, di riposizionarsi di fronte alla realtà di un continente in profonda trasformazione, la cui identità va rapidamente prescindendo dal suo legame con la Chiesa cattolica, che perciò si mette in discussione e si domanda come fare per continuare ad avere rilevanza storica per un popolo che non si sente più obbligato ad identificarsi con essa (...).
Aparecida risponderà a tante aspettative? Certamente i giorni della Conferenza saranno troppo pochi per tutto questo, e il documento atteso sarà incapace di rispondere a tutte queste aspirazioni. Tanto più importante è allora intendere Aparecida non come un avvenimento isolato, ma come un processo che è già iniziato e che il documento finale dovrà lasciare sicuramente aperto perché sia continuato e approfondito (...).



2. Dall’ottimismo alla crisi: traiettoria degli ultimi 50 anni


Non si può prescindere dalla storia se vogliamo capire adeguatamente gli avvenimenti. Gli ultimi 50 anni, che la Conferenza di Aparecida, per il suo carattere giubilare, deve tener presenti, sono carichi di profonde trasformazioni. È interessante osservare la sequenza degli eventi, che potremmo sintetizzare attraverso i decenni.
Un dato emerge con evidenza e ci aiuta a capire perché la Chiesa si trovi ora in difficoltà: è difficile mettere in pratica le grandi speranze del Concilio. La sua applicazione è in crisi. E perché? Perché il Concilio è stato fatto in un’epoca di grande ottimismo, mentre ha cominciato ad essere applicato in un periodo caratterizzato da un susseguirsi di crisi. (...). Gli anni ’50 e ’60, quando è nato il Celam e si è realizzato il Vaticano II, sono stati i più ottimisti degli ultimi secoli.
La Conferenza di Aparecida è chiamata a riprendere le speranze del Concilio in maniera più realista, più cosciente delle difficoltà, che vanno affrontate con determinazione.
Gli anni ’50 sono stati prodighi di iniziative che seminavano speranze: nel 1952 la nascita in Brasile della Conferenza episcopale; nel 1955 la fondazione del Celam, come frutto della prima Conferenza generale di Rio de Janeiro; nel 1956 la fondazione della Caritas brasiliana; nel gennaio del 1959, l’annuncio da parte di Giovanni XXIII del Concilio, la cui idea fu da tutti subito accettata con entusiasmo. A partire da lì, l’ottimismo e le speranze si sono concentrate nel grande evento del Vaticano II, realizzato negli anni ’60.
Ma non faceva a tempo a terminare il "decennio dell’ot-timismo" che già si presentavano i sintomi delle successive crisi che avrebbero angustiato soprattutto l’Europa e compromesso l’applicazione del Concilio.
Il primo sintomo fu la "rivolta degli studenti" nel 1968 (…). Nello stesso anno in cui la Chiesa dell’America Latina si riuniva a Medellín per accogliere generosamente il Concilio, l’Europa affrontava la crisi della modernità e cominciava a cercare sicurezza nel ritorno a rifugi istituzionali, in un movimento contrario al Concilio, che aveva proposto la riconciliazione della Chiesa con il "mondo moderno".
È importante tenere presenti questi fatti per comprendere le difficoltà di applicazione del Concilio e anche la lontananza del cammino della Chiesa latinoamericana dalle preoccupazioni di Roma, che viveva da vicino la tensione della crisi culturale dell’Europa (...).
Gli anni ’70 hanno conosciuto la "crisi del petrolio", con l’impennata del prezzo del greggio e la nascita dei "petrodollari", che le banche occidentali hanno trasformato in fonte di prestiti facili e abbondanti ai Paesi in via di sviluppo. Questo ha avuto come conseguenza, negli anni ’80, la crisi del debito che ha segnato profondamente i nostri Paesi e che dura ancora oggi. Questo spiega il passaggio dal "capitalismo produttivo" al "capitalismo finanziario", speculativo.
La fine degli anni ’80 ha visto la crisi del socialismo (...). Gli anni ’90 hanno visto giungere la globalizzazione, sotto il comando del neoliberismo, con le privatizzazioni, la fine dello Stato sociale, l’abbandono delle utopie collettive, la deregulation, l’esasperazione del successo individuale e del potere finanziario, l’apertura indiscriminata dei mercati. Veniva con la pretesa di costituire la soluzione definitiva ai problemi dello sviluppo, l’"unica verità" che avrebbe da allora guidato la storia, senza contestazioni.



4. Superamento delle impasse: enorme compito di oggi


Non hanno tardato a manifestarsi le impasse provocate da una globalizzazione escludente e concentratrice: crisi della sostenibilità ecologica; aumento dell’esclusione e della violenza; crisi dei valori etici; perdita di identità culturale e soggettiva; crisi della solidarietà.
(...) Questo il contesto storico nel quale si realizza la quinta Conferenza di Aparecida. Non sono semplici i problemi da affrontare! (...). Il superamento dell’impasse attuale, prodotta nei sotterranei della crisi di civiltà che ora viviamo, non avverrà tanto per modifiche della struttura ecclesiale quanto per il recupero in profondità del Vangelo. Sarà la pratica del Vangelo, aperta a tutti, che avrà la forza di suscitare i cambiamenti adeguati nella vita della Chiesa.
5. Riprendere le grandi intuizioni del Concilio
(...) Il Vaticano II ha avuto una peculiarità che lo distingue da tutti gli altri concili: non è stato convocato per risolvere un problema specifico, ma per iniziativa profetica di un papa in un momento in cui la Chiesa, istituzionalmente, viveva un momento di sicurezza e di tranquillità. Non era necessario un concilio. Forse non era neanche conveniente, come pensavano quelli che volevano mantenere le cose come stavano.
I problemi sono cominciati dopo il Vaticano II, mettendone seriamente a rischio l’applicazione. Così, un concilio che, nelle parole del card. Lercaro, doveva lasciare "le porte aperte" alla novità, ha visto invece chiudere le porte ai cambiamenti più significativi avvenuti nella Chiesa, con il rafforzamento del riflusso conservatore, con l’aumento del timoroso controllo centrale.
Oggi il Vaticano II corre il rischio della sterilizzazione delle sue grandi intuizioni.
Per questo, è compito della Quinta Conferenza riprendere le grandi intuizioni del Concilio come spinta al proseguimento del rinnovamento ecclesiale in America Latina, alla ricerca di un nuovo incontro con le realtà storiche del continente.
Sottolineo in breve alcune di queste intuizioni:


- l’ecclesiologia del Vaticano II, basata sulla visione della Chiesa come popolo di Dio. Questa ecclesiologia implica la valorizzazione dei laici e pone con forza la questione ministeriale, nel suo ampio spettro, dal "ministero petrino" al ministero ordinato, ai ministeri che devono essere presenti nelle comunità;


- la ripresa della "collegialità episcopale" come garanzia dell’unità nella diversità, e come fondamento della concretizzazione della Chiesa in "Chiese locali";


- la valorizzazione delle Conferenze episcopali, incentivando l’esercizio delle loro responsabilità.


- le "Comunità ecclesiali di base" come via pratica ed incarnazione della Chiesa nelle realtà del popolo.


Ma oggi viviamo una realtà segnata da tali trasformazioni che non basta farci guidare dai criteri e dalle indicazioni di un Concilio, per quanto importante sia stato il Vaticano II. È necessario ricorrere all’ispirazione più profonda della Chiesa Primitiva e cercare direttamente le fonti del Vangelo, così come fu annunciato, predicato e vissuto storicamente da Gesù (...).



5. Recuperare la pratica della Chiesa primitiva


In relazione alla Chiesa primitiva, è importante tenere come riferimento gli Atti degli Apostoli, per diverse ragioni. In primo luogo per fare una rilettura della traiettoria che Luca traccia per la Chiesa nelle parole che egli attribuisce a Gesù: "Siate miei testimoni a Gerusalemme, nella Giudea, nella Samaria e fino ai confini del mondo" (Atti 1,8) (...). Roma, per Luca, significava "i confini del mondo" e, finendo con Roma, Luca completava la traiettoria che si era proposto (...). In questo senso, la Roma degli Atti è un riferimento dinamico, un invito permanente a superare frontiere. Non a creare nuovi muri, ma a continuare a piantare la bandiera del Vangelo nel cuore del mondo, nelle circostanze di ogni epoca.
Il libro degli Atti presenta altre due dimensioni molto feconde ed importanti, che devono essere riprese oggi dalla Chiesa, con urgenza:
- l’inculturazione della fede,
- la valorizzazione del Concilio a partire dall’esperienza del "Concilio di Gerusalemme".
Riguardo all’inculturazione, fino ad oggi la Chiesa ha vissuto una sola esperienza profonda e riuscita di inculturazione del Vangelo, quella del suo inserimento nella cultura greco-romana, una realizzazione ecclesiale che continua fino ad oggi (...).
La Chiesa dovrebbe continuare a fare oggi quello che ha fatto nella Chiesa primitiva nel contesto dell’impero romano. Con la stessa forza dello Spirito, nella fedeltà al Vangelo, ma anche nella libertà con cui ha accolto elementi della cultura e della religiosità popolare, in modo da avere Chiese umanamente caratterizzate dalla realtà socio-culturale dei popoli e dei continenti in cui si sono inserite.
La mancanza di questo profondo processo di inculturazione spiega certamente la difficoltà della Chiesa a radicarsi in culture ancestrali quali quelle dell’India, della Cina, del Giappone e di altri Paesi. Ma spiega anche come la Chiesa potrebbe lasciare maggiore libertà alla sua nuova inculturazione negli ambienti segnati oggi dalla modernità e dalla post-modernità, anche qui in America Latina. Per questo, una delle preoccupazioni di Aparecida si manifesta, necessariamente, in termini di nuova inculturazione del Vangelo, con le conseguenze ecclesiali che ciò deve significare.
Ma gli Atti degli Apostoli ci portano un’altra testimonianza, poco avvertita ma importante, soprattutto rispetto alla sfida dell’applicazione del Vaticano II. Gli Atti mostrano quanto fu importante il "Concilio di Gerusalemme" per aprire le porte all’accettazione della fede cristiana fra i pagani, tramite la flessibilizzazione dell’esigenza della circoncisione. Ma mostrano anche come le decisioni del Concilio furono assunte incondizionatamente da tutte le correnti ideologiche della Chiesa, e diventarono parte necessaria dell’agenda ecclesiale. Tanto la "destra conservatrice", rappresentata dalla Chiesa di Gerusalemme, quanto la "sinistra progressista" rappresentata da Paolo e Barnaba, fecero proprie le decisioni del Concilio e si lasciarono guidare da esse (...).
È questo che è mancato al Vaticano II. Ancora prima della sua chiusura, la "destra conservatrice" ha messo in discussione il Concilio e ha dato inizio ad una sistematica opera di boicottaggio della sua applicazione proprio nelle misure che avrebbero favorito oggi una nuova "inculturazione del Vangelo" e fatto sorgere nuove espressioni ecclesiali, più incarnate e più autonome: le conseguenze pratiche della "collegialità episcopale", una visione di Chiesa come "popolo di Dio", la valorizzazione dei laici, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (riconoscendo l’azione dello Spirito anche nelle altre realtà fuori della Chiesa cattolica) e il valore delle realtà terrene e il rispetto per la loro autonomia.



6. Recuperare la forza e l’originalità del Vangelo di Gesù


Il momento che sta vivendo oggi la Chiesa, non solo in America Latina, ma nel mondo intero, richiede uno sforzo cosciente e persistente di recupero del Vangelo di Gesù nella sua integralità, nelle sue grandi ispirazioni e nelle sue conseguenze più radicali. Solo una nuova e profonda identificazione della Chiesa con il Vangelo le darà credibilità e speranza. Come fece S. Francesco, che adottò il Vangelo come regola pratica della sua comunità, la Chiesa deve oggi avere il coraggio di cogliere quanto Gesù ha fatto, e il modo in cui lo ha fatto, per farlo anch'essa, senza domandarsi se questo scandalizza, ferisce sensibilità e, soprattutto, se va contro privilegi stabiliti o contrasta interessi di potere e di dominio.


6.1. La dinamica dell’incarnazione
Prima che da parole, il Vangelo è costituito da fatti fondamentali, il primo dei quali è l’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazareth. Il processo di incarnazione continua nella realizzazione della Chiesa di Cristo. Lo Spirito la guida perché essa assuma le realtà del suo tempo e le renda sacramento della presenza di Dio e manifestazione della sua grazia. Così deve fare la Chiesa.
La dimensione dell’incarnazione fonda la realtà e il processo di inculturazione, esprimendo il dinamismo dello Spirito che continua a fecondare la storia, rivelando e facendo accadere l’azione salvifica di Dio.


6.2. Il contesto storico del Vangelo
Ma più ancora che nei fatti, il Vangelo consiste nella reazione di Gesù di fronte ai fatti che hanno intessuto la sua vita e il suo umano relazionarsi. Da qui l’importanza di recuperare la realtà di questi fatti per comprendere meglio come Gesù agiva. Per questo si dice che è fondamentale per la Chiesa di oggi avere come punto di riferimento il "Gesù storico". Non si tratta di un recupero archeologico di circostanze antiche per imitarle oggi artificialmente. Esattamente il contrario. Il riferimento al Gesù storico ci permette di relativizzare le circostanze per valorizzare gli atteggiamenti di Cristo, che costituiscono il suo Vangelo.
Da qui l’importanza di individuare le grandi opzioni di Gesù, le posizioni che meglio manifestano il suo mistero, che meglio rivelano le sue intenzioni e meglio indicano la pratica autentica del suo Vangelo. Quali sono?


6.2.1. La sua mistica
Innanzitutto Gesù fu impregnato di Spirito. Senza lo Spirito, non si capisce Gesù. (…).


6.2.2. La sua chiara opzione per i più deboli, per gli esclusi, per i piccoli, i semplici, i peccatori, i poveri
È importante recuperare la portata di questa opzione di Gesù. Egli avrebbe potuto ricercare persone di potere, di prestigio, di influenza sociale o religiosa. C’erano tutte le condizioni per questo, e dall’età di dodici anni! Ma egli preferì chiaramente "i semplici e i piccoli", e giustificò la sua scelta sentendosi autorizzato dal suo stesso Padre. Pertanto, cercò la giustificazione più profonda e più radicale per la sua "opzione" decisa e cosciente. "Sì, Padre, perché così tu hai voluto", dichiarò esultando per l’accoglienza che gli riservavano i poveri. "Hai nascosto queste cose ai saggi e agli intelligenti e le hai rivelate i piccoli".
Dunque, l’opzione di Gesù per i poveri non fu strategica, non fu di circostanza. Nacque dalla profondità della sua identificazione con il mistero del Padre. Essa è inseparabile dal Vangelo. La porta di ingresso del mistero della salvezza che Dio ha scelto sono i poveri. Attraverso di loro si accede al Regno di Dio.


6.2.3. La valorizzazione dell’"altro", del diverso, dello straniero
Impressiona vedere l’ossessione che Gesù aveva per l’"altro". Tante volte stava sulla riva del lago e insisteva per passare dall’"altra parte". Che diavolo d’ossessione era questa, forse che da questa parte il lago non dava pesce?
Questo atteggiamento di Gesù è profondamente rivelatore del mistero della Trinità e segnala l’urgenza e la necessità di aprirci all’altro e al diverso e a scoprire in lui, nel modo più profondo, la nostra stessa identità. (…). Gesù ci insegna ad attraversare tutte le frontiere e ad aprirci ad orizzonti più ampi!


6.2.4. La trasformazione della mentalità
Gesù si è sempre sforzato di cambiare la mentalità dei suoi discepoli e del suo popolo. (…). L’esempio più tipico è stato il mutamento che Gesù è riuscito ad ottenere nei confronti dei "samaritani", specie di "protestanti" dell’Antico Testamento, mezzo eretici e separati. Per i giudei c’erano solo "cattivi samaritani". Con i suoi atteggiamenti accoglienti nei confronti dei samaritani, Gesù è riuscito a coniare l’idea del "buon samaritano". È stata una trasformazione molto più profonda che mutare l’acqua in vino. (…).
Cosa ci suggerisce questo atteggiamento di Gesù se assunto verso i "samaritani" di oggi? Siamo capaci di trasformarli, e trasformarci, in "buoni samaritani"?


6.2.5. Il duro scontro con gli oppositori del Regno
Anche questo è parte del Vangelo vissuto da Gesù. Egli si scontrò con tutti coloro che sfruttavano i piccoli e li mantenevano schiavi di pregiudizi che impedivano loro di vivere i valori del Regno. Non litigava per delle idee, in difesa di un’ideologia. Egli si schierava a favore dei poveri e a servizio della vita. Non aveva pregiudizi di sorta. Accettò l’ospi-talità della casa di Zaccheo e di Simone, seppe elogiare il fariseo che era "prossimo al Regno". Ma era inflessibile quando i valori del Regno erano contrastati tanto dai farisei quanto dai suoi stessi discepoli. Viveva una coerenza totale (...).


7. Compiti della Quinta Conferenza

Rispetto a questi grandi riferimenti - il Vaticano II, la Chiesa primitiva, il Vangelo del Gesù storico - cosa c’è da attendersi da questa Quinta Conferenza?
Innanzitutto, non aspettarsi troppo! Non possiamo chiedere troppo! Ma, perlomeno, la Conferenza deve dare impulso e seguito ai valori del cammino della Chiesa nel nostro continente e lasciare le porte aperte ad ulteriori passi avanti. Non ci si attende un lungo documento teorico, pieno di insegnamenti. Questi sono già stati dati in abbondanza dalla Chiesa negli ultimi decenni. Il compito di questa Conferenza deve consistere, questo sì, in grandi opzioni strategiche, evangeliche, che lascino la strada aperta ad altri sviluppi. In sintesi, Aparecida è chiamata a recuperare, riaffermare e avanzare.


7.1. Recuperare
- la metodologia tipica della Chiesa latinoamericana, che è stata abbandonata nella Conferenza di Santo Domingo: partire dalla realtà, nella nota dinamica del "vedere, giudicare, agire".
In verità, quello che è in gioco è la prassi di Gesù, che partiva dalla realtà per situare in essa la sua azione, animata dal suo Spirito. Non si tratta, perciò, della forma esteriore o della sequenza del documento della Conferenza. Ma delle sue opzioni, che devono derivare dal seguire la prassi di Gesù. Opzioni quali:
- l’inculturazione del Vangelo (…);
- l’ecclesiologia della Chiesa locale;
- la centralità ecclesiale della collegialità episcopale;
- l’importanza delle Conferenze episcopali;
- la memoria storica del cammino della Chiesa in America Latina e nei Caraibi: l’irruzione dei poveri come soggetti, nella Chiesa e nella società; l’opzione della Chiesa per i poveri; la denuncia delle strutture ingiuste; la teologia liberatrice; le comunità ecclesiali di base; la prossimità dei pastori al popolo; la vita consacrata inserita nelle comunità; i ministeri laici; il risveglio della coscienza degli emarginati (indigeni, afrodiscendenti, donne, giovani).


7.2. Riaffernare
- il primato della Parola di Dio per la vita della Chiesa. Mettere la Bibbia nelle mani del popolo (...);
- la centralità della giustizia e della liberazione dalle ingiustizie;
- la dignità di ogni persona umana;
- il protagonismo dei laici;
- la collegialità episcopale;
- l’importanza della Chiesa locale;
- l’importanza delle comunità di base;
- lo spirito di comunione e di partecipazione;
- la religiosità popolare, come espressione della fede inculturata.


7.3. Avanzare
- porre la Chiesa al servizio del Regno, non a difesa del-l’istituzione o dei suoi privilegi storici;
- accogliere e dare spazio ai poveri, alle vittime del sistema, favorendo la partecipazione degli esclusi nella Chiesa: indigeni, afro, donne;
- vivere la gratuità;
- affrontare con più coraggio la questione ministeriale nella Chiesa, soprattutto per garantire alle comunità l’Euca-restia;
- avanzare nel dialogo ecumenico ed interreligioso, nel rispetto della diversità e della pluralità;
- perfezionare i processi di pastorale organica;
- prestare maggiore attenzione all’ecologia, con il contributo che la Chiesa può dare in questo campo.



8. Risposte da esigere


Pur coscienti che non tutte le aspettative intorno alla Conferenza di Aparecida potranno essere soddisfatte nel-l’immediato o essere contemplate nel documento ufficiale, alcune di esse sono fatte con tale pressante enfasi che la Conferenza non potrà ignorarle.


8.1. Comunità di base
Le comunità concrete delle nostre realtà sociali vogliono innanzitutto veder riconosciuta la loro ecclesialità, con la libertà di vivere il Vangelo, contando sulle risorse della grazia di Dio.


8.2. La questione ministeriale
Questo è uno dei nodi del rinnovamento della Chiesa. Per la sua portata, questo tema va oltre le competenze della Conferenza di Aparecida. Tanto più essa deve sottolineare l’urgenza per la Chiesa di affrontare con coraggio tale questione.

8.3. La donna nella Chiesa
Un punto molto importante che ha bisogno di concreti ed effettivi passi avanti è il riconoscimento della presenza della donna nella Chiesa, del significato ecclesiale e della dimensione ministeriale della sua azione e della sua imprescindibile partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

8.4. La riflessione teologica
Sarà molto significativa una espressione di stima del lavoro dei teologi di fronte alla necessità della Chiesa di poter contare su una riflessione che l’aiuti ad individuare i passi che bisogna compiere in questo nostro tempo.

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