venerdì 18 maggio 2007

una riflessione di Antonietta Potente sulla fedeltà

Preferisco stare sulla porta

di Antonietta Potente



La fedeltà è attesa.
La fedeltà è ricerca, non immobilità. La fedeltà più bella è l’attesa, il continuare a cercare in che modo essere fedeli. Dobbiamo porci queste domande: “Come essere fedeli a un giustizia che non c’è?” “Come essere fedeli a un equilibrio ecologico che non conosciamo davvero?” “Come essere fedeli a una vita che per tante persone è troppo incerta e precaria?” Il nostro mondo ci fa credere di essere in ricerca e invece non è così: l’economia è chiusa, come sono chiuse le leggi economiche. Purtroppo noi siamo convinti della validità assoluta di queste leggi e non lasciamo spazio all’incertezza. La fedeltà è vivere sempre sulla porta, perché gli spazi verso i quali dobbiamo andare sono più vasti di quelli che percorriamo. Incontrare le persone è come stare sulla porta, come è scritto nel Salmo: “Preferisco stare sulla porta della tua casa che abitare nella casa degli arroganti, dei potenti, di quelli che hanno tutto…”. “Preferisco stare sulla porta”, cioè mi basta stare sulla porta, perché la fedeltà è la possibilità di credere all’invisibile, ma per credere all’invisibile si deve dare fiducia agli altri. Le nostre leggi servono solo per difenderci, non per dare fiducia: per questo siamo così lenti nell’attuare la giustizia anche a livello istituzionale e legislativo. Non stiamo sulla porta dell’altro perché ci sembra che dobbiamo subito entrare. Il Mistero è invece stare sulla porta. Sempre. Dobbiamo attuare una vera e propria conversione: dare fiducia a quello che l’altro ha nella sua casa e non entrare subito, ma attendere sulla porta. “Restare sulla porta” non è un atteggiamento passivo, ma un atteggiamento profetico, di persone che stanno sveglie, ma non vivono di possedimenti o eredità. Vivono della fiducia che danno alla vita, anche alla propria.

La fedeltà è presenza.
Un altro aspetto della fedeltà è il tempo. Nel nostro incontro precedente vi invitavo a non abbandonare le situazioni con le quali non siete in armonia, perché le scelte sono vere se allargano gli spazi, non se sono dettate dal desiderio di fuggire. Questo è legato alla familiarità che abbiamo con il tempo: ci riteniamo i suoi veri padroni, lo consideriamo come suddito anche se diciamo che siamo “schiavi” del tempo; in realtà siamo schiavi del tempo perché lo vorremmo gestire. La fedeltà è una riconciliazione con il tempo; il tempo è sempre lento, siamo noi che lo contaminiamo. Non seguiamo umilmente la vita (come dice il profeta Michea), ma siamo convinti di esserne i padroni: padroni del tempo, degli spazi, delle cose. Il tempo ci sembra veloce, probabilmente siamo frustrati e le nostre inquietudini ci spingono a dire “Non ce la facciamo”. Dobbiamo riconciliarci e chiedere perdono al tempo, alle cose, alle persone perché non sappiamo stare presenti. Spesso chiediamo perdono per quello che non abbiamo fatto, ponendo la domanda moralista del giovane ricco: “Che cosa devo fare?”. La prima cosa che dobbiamo fare è essere fedeli, stare presenti. Se pensiamo alle persone che sono state “fedeli” nella nostra vita, pensiamo a coloro che sono presenti o sono stati presenti.

La fedeltà è silenzio.
Dobbiamo essere fedeli e presenti anche nelle situazioni di conflitto, e aggiungo un ingrediente in più: silenziosi e soli. La fedeltà nelle situazioni di conflitto ci permette di fare questa strana esperienza del silenzio e della solitudine, che è bella soprattutto dopo tanto tempo, quando la ripensiamo. I conflitti non si risolvono parlando; sarà perché vengo da un mondo indigeno dove si parla poco, ma ho sperimentato che, se c’è un conflitto, la fedeltà è molto silenziosa. Non si tratta di un silenzio di paura, di intimidazione, ma di attesa; è un silenzio che coincide con lo scorrere lento del tempo, che è sentito come breve, perché è intenso.

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