mercoledì 2 maggio 2007

Appunti sulle ingerenze non più tollerabili

Pubblichiamo gli appunti per una conferenza che un prete di Alessandria ha tenuto nel febbraio del 2007. Si cerca di spiegare le ragioni dell’insistente difesa della famiglia (in opposizione a nuovi modelli di convivenza) analizzando le ragioni della morale cattolica (e il loro influsso sociale e politico) contro quella che l’autore chiama sessualità “espressiva”.
Sessualità “espressiva”
di un prete anonimo
Il punto di partenza.
L’ossessiva difesa della famiglia, e la conseguente opposizione ai Pacs (ora Dico), e più in particolare al riconoscimento delle unioni omosessuali. L’argomento secondo cui l’introduzione di modelli alternativi alla famiglia eterosessuale monogamica ne intaccherebbe l’integrità, mi pare privo di giustificazioni teoriche e di verifiche empiriche.
Ma in radice la rabbiosa aggressività della Chiesa si spiega con il fatto che essa sente intaccata la sua pretesa di definire autoritativamente cos’è la famiglia, cos’è la sessualità, cos’è la natura.

La posta in gioco.
1) Una concezione fissista della natura. È in gioco il concetto di diritto naturale, la pretesa di stabilire che cosa è naturale, e quindi conforme a disegno di Dio (di cui la Chiesa è interprete esclusiva), e che cosa non lo è. Tale pretesa si fonda sulla convinzione di avere il monopolio della Verità, grazie a un filo diretto con Dio, e di poter quindi definire in modo incontrovertibile quali sono i valori «non negoziabili». E quindi di poter stabilire dove comincia la vita, che cosa è la famiglia naturale, qual è la sessualità giusta, ecc.
Questa convinzione di essere in possesso della Verità ha come conseguenze: a) il ritenere di dovere difendere valori assoluti e immutabili (da cui la non negoziabilità); b) la diffidenza verso ogni concezione di tipo evoluzionistico che intacca l’idea di Natura (da cui anche la diffidenza per il sapere scientifico); c) quindi l’ossessiva condanna del relativismo, che ovviamente si annida ovunque non si sia allineati con le asserzioni veritative del magistero ecclesiastico.

2) Il potere (normativo, e non solo) della Chiesa. Se è messa in discussione l’autorità del magistero ecclesiastico in tema di normatività etica, è minato alla base il fondamento del suo potere, quello spirituale esercitato su coscienze infantili ed eterodirette (che è conveniente mantenere tali), e mediatamente quello politico grazie al gregarismo interessato di un ceto politico impreparato e immaturo, talvolta platealmente incoerente quando non in mala fede.
Triste conseguenza di questi presupposti è la sostanziale incompatibilità con il metodo democratico, in quanto intrinsecamente pluralistico, relativistico, evolutivo (come ha ripetutamente e lucidamente illustrato Gustavo Zagrebelsky). Bisogna purtoppo convenire con chi ha scritto che “cattolico democratico” è diventato un ossimoro.

3) Una concezione funzionalistica della sessualità. Per il Magistero cattolico la sessualità ha una funzione eminentemente procreativa, e ciò discende “naturalmente” da leggi inscritte nella natura, fissisticamente intesa e autoritativamente definita. Che poi esista in natura una percentuale – pare neanche tanto piccola – di persone con inclinazioni omosessuali (per non estendere l’osservazione ad altre specie animali, in cui la casistica è singolarmente diversificata) questo non è – contraddittoriamente – naturale, e non va comunque preso in considerazione. Chissà perché l’omosessualità che esiste in natura non è naturale…
Quindi la sessualità è giusta (giustificata) quando è finalizzata alla procreazione. Ogni forma di sessualità con finalità diverse da quella procreativa (che qui chiamerò “espressiva”, con un aggettivo di cui avverto l’inadeguatezza) e con modalità di esercizio tese a impedire la procreatività, è giudicata immorale.

Intendo con “espressiva” una sessualità in cui è affermato il valore intrinseco della relazione (non quindi funzionale ad altro), in quanto espressiva al massimo grado della comunione/comunicazione interpersonale, al suo livello più integrato e profondo.
Ebbene, questa dimensione della sessualità (non negata in assoluto, ma in quanto dissociata dall’intento procreativo) è interdetta anche all’interno del matrimonio; e non rivela il fatto assolutamente comprovato che la prassi comune contravvenga questa indicazione etica: purché non lo si dica.
Ovviamente, a fortiori, è proibito l’esercizio della sessualità extra-matrimoniale, la cui dimensione espressiva, in una fase pre-matrimoniale, potrebbe costituire un importante momento di verifica interna a un percorso di conoscenza e integrazione profonda in un rapporto costruito seriamente. Ma forse si sfoltirebbero i clienti di quella indecorosa istituzione ecclesiastica che è il tribunale della sacra Rota.

Mi pare a questo punto chiaro qual è la radice dell’intransigenza omofobica della Chiesa cattolica. Accettare l’omosessualità equivarrebbe a riconoscere il valore “espressivo” della relazionalità sessuale, legittimare l’eros, superare la differenza per il piacere (il che potrebbe anche implicitamente e insidiosamente svalutare la sofferenza, che in una certa spiritualità cristiana è proposta come un valore (i membri dell’Opus Dei portano il cilicio…).
Accettare l’omosessualità aprirebbe la porta ad accettare il valore della sessualità “espressiva” anche all’interno del matrimonio, ciò che minerebbe la famiglia, cellula nevralgica della società. Questo sarebbe dunque l’argomento forte a difesa della famiglia, e a giustificazione di una opposizione intransigente a ogni forma alternativa di convivenza.

Se il ragionamento che ho esposto ha una certa sua coerenza, per affrontare questa problematica in modo concreto ed efficace, occorre attaccarla ai suoi punti originari, che a me pare siano la concezione fissistica e assolutistica della natura, la pretesa del Magistero di definire autoritativamente valori e naturalità, e in applicazione alla problematica dei modelli di convivenza il diritto di cittadinanza etica della concezione espressiva della sessualità.

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