Padre Joao Chery
Benvenuto a tutti. Allegria di stare qui con voi in questa serata. Questo dialogo con Antonietta fa parte di uno sforzo che noi abbiamo deciso in questo luogo che oggi è la sede del Domenicani, ma era una casa di famiglia. E perciò la famiglia si incontrava nel salotto per dialogare, per chiacchierare, per ascoltare le notizie di famiglia e del mondo. L’Aventino era un luogo lontano, era il luogo dei poveri, degli artisti, degli esclusi dell’epoca. Vogliamo ricordare questo e recuperare questa memoria. La casa di Serafia e Sabina, una è schiava, e le due sono martiri. Ci sarà una serie di incontri. Molti passano per questa casa, e vogliamo dialogare e chiacchierare su temi vari. Già abbiamo fatto una chiacchierata con Brian Pierce, quest’americano che ha fatto un lungo digiuno con altri nell’anniversario dell’11 settembre. La seconda questa sera con Antonietta. La terza sarà con un francese sul vescovo domenicano ucciso in Algeria. Bene. E’ una grande allegria. Molti anni fa, in Brasile, Antonietta è venuta per lanciare la traduzione brasiliana di un suo libro; con lei, tre altri fratelli, una sorella (Gabriella che viene dall’Argentina e vive in Perù) e due altri fratelli stiamo tentando di rinnovare, di risuscitare il dialogo che la famiglia domenicana aveva in America latina.
ANTONIETTA POTENTE
Quando uno vive da un’altra parte preferisce ascoltare le domande. Sono qui a Roma perché mi hanno chiamato per un incontro e così ho avuto la possibilità di incontrare anche voi questa sera. Mi sembrerebbe bello se voi poteste condividere le vostre inquietudini, e dirmi quello che volete sentire.
Sul volantino hanno messo un tema, un titolo: la religiosità della vita e la fedeltà al presente. Io dirò solo poche cose per spiegare questo titolo, soprattutto la prima parte. Credo che sia molto interessante l’introduzione che faceva adesso Joao sull’origine di questi incontri e sull’origine di questa comunità domenicana che ha radici antiche per la nostra famiglia, ma ancora più antiche per tutti. Era una casa, diceva Joao e credo che questa sia l’inquietudine di questi ultimi tempi per tutti noi, per tutte noi di intuire bene che cosa significa una casa in questa storia. Ricostruire un ambiente più famigliare, fare casa in questa realtà. Credo che per questo tutti cerchiamo le origini delle nostre case o l’origine dei nostri popoli, della nostra gente, delle nostre case dove viviamo, cioè le radici profonde. Per me, domenicana, questo luogo è profondamente significativo per le radici di famiglia e adesso con quello che diceva Juau ancora di più, perché ci sono queste radici di donne che qui facevano casa e poi è venuta un’altra persona che ha fatto casa qui, cioè Domenico.
Prima il Maestro Generale mi ha regalato questo San Domenico e lo mettiamo vicino a Ghandi, un’altra persona che ha fatto casa lungo la storia. (Mostra le due statuette sul tavolo).
Credo che dobbiamo far memoria del perché siamo qui, del perché continuiamo ad incontrarci, perché vogliamo incontrarci, perché qui a santa Sabina hanno già cominciato questi incontri. Io credo che ci sia bisogno di questo, di risvegliare un desiderio profondo dentro la nostra realtà. Personalmente credo che per fare casa non abbiamo bisogno delle religioni, abbiamo prima bisogno della religiosità, cioè di riconoscere che la nostra vita ha bisogno di toccare le profondità della storia e delle cose. La nostra vita non ha bisogno di strutture o di sintesi sistematiche, ma prima ha bisogno di toccare questa profondità, di sentire il bisogno, la necessità della profondità. E’ questo che intendo col temine “religiosità”, non è qualcosa che l’essere umano aggiunge alla storia, è qualcosa che gli esseri umani, donne e uomini, di tutte le culture, di tutti i popoli, di tutte le epoche sono chiamati a riscoprire. Tutto il nostro cammino di vita, è un cammino di avvicinamento alla religiosità della vita, cioè a ciò che è profondo in questa vita. Qualcuno poi lo identifica con una religione, dentro un sistema culturale, o con una ideologia.
Però quello che mi sembra importante non è incontrarci solo sulle religioni, ma su questo bisogno dell’essere umano di camminare nel fondo della vita, di fare casa. La casa evoca sempre qualcosa di molto famigliare, ma anche di molto accogliente, quando pensiamo alla casa, pensiamo a qualcosa di nostro. Ma soprattutto chiamiamo casa, amici, persone che con noi danno un calore. Molto più in là delle ideologie, io credo che questa era la Sapienza delle grandi tradizioni, della nostra tradizione cristiana, ma anche di altre tradizioni. Il bisogno di sentire che la casa si fa per il calore e non intorno al pensare la stressa cosa o essere uguali.
Allora mi sembra che quello che dobbiamo risvegliare in tutti i popoli, anche se viviamo in realtà differenti, è questo diritto che abbiamo tutti, uomini e donne, a non vivere superficialmente la vita. Io credo che questo sia il grande dramma di questo momento, che assume colori economici e politici. Il dramma vero non è costituito solo dai lineamenti che assumono le nostre politiche e le nostre economie mondiali, ma è quello di una società che ti distrae e vive sulla distrazione. Ciò vale per tutti. Oggi noi dobbiamo rivendicare un diritto, il diritto di vivere dentro. Le distrazioni non si riferiscono solo alla post-modernità, secondo i nostri criteri moralisti di giudizio, non parlo tanto della post-modernità consumistica, ecc.ecc., mi riferisco alle distrazioni che non ci fanno più pensare cose alternative. Diventano distrazioni anche ciò che è istituzionale, le troppe sicurezze istituzionali e dogmatiche. Sono distrazioni, perché non ci permettono di pensare che è possibile qualcosa di alternativo.
Io comincio a definire ultimamente il “Mistero” come le dimensioni anarchiche della vita, come dice il termine in greco, cioè l’opportunità di far entrare nella storia le possibilità alternative. Invece la mentalità di chi deve gestire tutto è certamente quella di farci distrarre con delle cose che non sono profonde. La paura di perdere il potere, la paura dei poteri che avevamo acquistato in certi momenti storici li spinge a farci distrarre, a venderci altre sicurezze. Allora io credo che la religiosità (anche se è termine ancora ambiguo e potremmo cercare un altro termine. Io preferisco parlare più di mistica) dà la possibilità, il diritto per gli esseri umani di toccare il fondo del Mistero, la vita. I mistici lungo la storia, anche nelle tradizioni diverse dalle nostre, hanno dato spazio a qualcosa di profondamente alternativo.
L’iniziativa è allora la forza di avvicinarsi al Mistero rompendo quello che già sapevano, è il desiderio di vivere il Mistero con un profonda gratuità; gratuitamente. Sapete che l’obiettivo della mistica non è né il merito, né eliminare, o sfuggire il castigo, ma l’unione. Potremmo dire noi: fare casa, il desiderio di fare casa.
C’è un rischio nei termini religiosità, mistico, in questo mondo del mercato dove tutti cercano di salvarsi. C’è il rischio che anche questi termini diventino il frutto, un prodotto della moda.
Allora io vorrei ricordarvi che tutta l’esperienza mistica lungo la storia ha sempre avuto un contesto, perché quest’esperienza non sia sfuggire dalla realtà o sfuggire dalle dimensioni storiche. Il contesto in questo momento continua a essere, (come da tanti anni, in tante prospettive teologiche e per certe scelte fatte dalle comunità credenti) la realtà. E’ la realtà che ci permette di fare l’esperienza del Mistero; non si tratta di un’esperienza isolata o borghese, ma è la vita quotidiana.
E i mistici sono soprattutto persone quotidiane.
Pensando a questo incontro, pensavo al Salmo 34. Soprattutto agli ultimi versetti dove c’è come il riconoscimento di un Mistero che abita, che sta con i suoi occhi. Il Salmo dice: gli occhi del Signore sui giusti. I suoi orecchi al loro grido di aiuto. Il volto del Signore contro i malfattori per cancellarne dalla Terra il ricordo. Gridano e il Signore li ascolta e li salva dalle tutte le loro angosce. Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Egli salva gli spiriti affranti…
Gli occhi del Mistero stanno là dove c’è qualcuno che è alternativo a questa storia.
L’alternativo, in questo momento storico, io credo che non consista nel trovare progetti alternativi, per aiutare i giusti o quelli che gridano aiuto, ma alternative sono proprio le grida di aiuto.
L’alternativo sono le persone, non sono i nostri progetti. Io credo che questa sia la sfida mistico-politica in questo momento storico. Una sfida mistico-politica, culturale, interculturale, interreligiosa.
Non si tratta di sforzarci per trovare delle cose alternative per aiutare quelli che gridano, come dice il Salmo, giorno e notte. Il grido è alternativo, il grido, con la sua forma di gridare, con il suo linguaggio.
L’alternativo davvero sono queste mistiche segrete di resistenza. E dico questo perché quasi sempre il nostro complesso è che l’alternativo siano i nostri progetti.
Un altro mondo possibile. Noi lo pensiamo come se non esistesse e per fortuna che ci siamo noi che lo pensiamo. Invece c’è un altro mondo. Ci sono altri mondi. Altri mondi religiosi, altri mondi culturali, altri mondi di genere, per poter vivere forme alternative. Ci sono altri modi di vivere comunitariamente. Ci sono altri modi di amare entro questi processi etici di ricerca di amori autentici.
La difficoltà è che gli altri mondi li cerchiamo sempre fuori.
Il paradigma è questo modello di mistica, questo temine che potremmo sostituire a quella che chiamiamo religiosità La mistica unisce due aspetti: la religiosità della vita e la fedeltà al presente. La mistica è il presente, è quello che già esiste. Il problema è come aprirci a questo Mistero, a quello che già c’è. L’alternativa non è semplicemente un tesoro che andiamo a cercare. L’alternativa è questa vita: le persone che accogli, che esistono. I giusti. Quelli che gridano. Il Mistero ha gli occhi e gli orecchi fissi su queste persone. Il suo volto è contro i malfattori. Però è un volto che illumina, che sta lì, che accompagna i volti delle persone, delle mentalità, delle storie…
Cosa può servire questo a voi, non so. Mi domando sempre perché mi invitano. Non so davvero più passano gli anni. Voi le sapete queste cose. L’unica cosa che possiamo fare, come si fa in tutte le parti del mondo, è vivificare questo desiderio. Che cosa vogliamo? Diceva Joao. Vogliamo fare casa. Creare spazi aperti dove tutti possano incontrarsi. Però anche degli spazi autentici, sinceri, non soltanto intellettuali, non solo attivisti. Degli spazi dove davvero si risveglia questo desiderio storico, mistico-politico, di incontrare la profondità del Mistero.
Io credo che per far questo certamente dobbiamo risvegliare anche una certa critica. Critica non nel senso di lamentarci perché non vanno bene le cose, ma nel senso di quello che nell’ambito del femminismo si chiama un’attitudine di sospetto. Un’attitudine di sospetto verso quelle cose che abbiamo assunto come parte di noi.
Voi sapete che il sospetto ha salvato molti popoli lungo la storia. Quando proponiamo questa ermeneutica, questa chiave di lettura, questa interpretazione, ci riferiamo anche allo studio: noi di spiritualità e di tradizione domenicana studiamo perché sospettiamo, perché pensiamo che ci sia qualcosa che sta più dentro la storia.
Ci sono dimensioni profondamente vere che dobbiamo ancora riscoprire. E qui entrano tutte le problematiche: quelle istituzionali, religiose, etiche, ecologiche. Io credo che non si tratta di dividere il mondo in problemi; si tratta piuttosto di leggere la sete che tutte queste problematiche ci trasmettono, cioè il grido dei giusti, i giusti che gridano.
Un grido comune. Questo lo dice anche Paolo nella lettera ai Romani al capitolo 8. Gridano tutti. Grida la Creazione. Grida l’umanità. E grida e geme lo spirito. Mi sembra che anche noi che ne siamo parte dobbiamo solidarizzare con questo grido. Il problema non è solo cercare delle soluzioni, ma chiedersi anche come cerchiamo queste soluzioni.
Quando dei gruppi di incontrano, lo fanno perché cercano le soluzioni facendo casa, non separandosi. Non separandosi, questo è il punto. Non solo cercano soluzioni di gruppo o istituzionali, se alcuni propongono una cosa e altri un’altra, ma cercano decisamente queste soluzioni da vicino. Siamo vicini di casa, vicini di destino, vicini di sogno: abbiamo tutti lo stesso sogno dentro. Quando dico tutti, non faccio di tutti una massa. Questo Salmo è proprio molto forte, al finale dice: al volto del Signore sembra non interessino molto gli oppressori, quelli che provocano dentro la storia la distruzione delle case. Quando dico tutti, parlo di tutti e tutte noi che abbiamo sete, e certamente la sete, come la fame, è qualcosa che ci unisce nella realtà. Fa casa.
Quelli che non hanno fame e non hanno sete fanno la guerra alle le case, le distruggono, distruggono le risorse naturali, le vendono solo per arricchire la loro casa. Noi che abbiamo sete e fame da tutte le parti riusciamo a far casa.
Forse questi incontri potrebbero risvegliare sempre di più in noi questa fame e questa sete e anche toglierci la paura di sentire fame e di sentire sete.
In un seminario che stavo tenendo nell’università, di fronte a una prospettiva alternativa che io presentavo, indicando nuovi paradigmi teologici, uno studente – un ragazzo serio, ma non a caso polacco - diceva che a lui faceva paura questa presentazione che io facevo, perché non sapeva dove andava a finire. Allora io gli dissi: perché noi abbiamo sempre paura di quello che non sappiamo? Io credo che in questo momento i nostri popoli, le nostre religioni dovrebbero avere paura di quello che già sanno, non di quello che non sanno. Perché quello che non sappiamo, fa parte del Mistero che è grazia, che è abbondanza, spazio. A che servirebbe parlare tanto di Misericordia se pensiamo che il Mistero già ha chiuso tutte le sue prospettive. Credo invece che dobbiamo provare paura quando sappiamo troppe cose, dobbiamo provare paura verso tutto quello che già sappiamo, verso tutto quello che ci ha portato lì. Mentre dobbiamo eliminare la paura di fronte a quello che non sappiamo. Quello che non sappiamo è molto più ampio, molto più bello.
Continuo poi a pensare che tutte le cose che facciamo devono essere fatte in memoria di qualcuno come dice quel ritornello che Gesù lascia ai suoi discepoli e alle sue discepole: fate questo in memoria. E’ interessante notare che Gesù aveva indicato il tema della memoria per il gesto della donna di Betania che gli unge il capo con olio profumato (Matteo, 26, 6). Tutte le volte che sara predicato il vangelo, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in memoria di lei.
Credo che anche noi dobbiamo aiutarci a vivere la memoria di tutti i gesti mistici e politici, che si fanno nella vita e nella storia, soprattutto dei gesti che fanno le persone anonime. Io so che è retorica in questo momento storico parlare di persone anonime; sono concetti che abbiamo usato per tanto tempo e sono fissati così. Però è vero che la mistica senza le memoria di gente che vive in altro modo, che vive altre dimensioni è falsa. Oppure è la mistica della New Age, la mistica di tante ricerca esoteriche di cui è pieno il mondo, perché siamo un po’ infermi e abbiamo bisogno di molte terapie. Invece si tratta di ritrovare la mistica come segreto, di ritrovare anche queste persone segrete nella storia. Questi grandi mistici della tradizione cristiana, più donne che uomini, appartenevano agli ordini mendicanti, con tutto quello che significava la mendicità.
In questo senso non esiste un’esperienza mistica senza il desiderio di appartenere a una categoria anonima, perché la mistica ha come chiave di lettura il segreto, la gratuità, l’interiorità profonda. Sono categorie delle persone più quotidiane. Dico quotidiane, perché non sto facendo una questione di classe sociale. Dobbiamo ricollocarci dentro questa quotidianità. Per alcuni o alcune di noi, questo potrà significare anche una collocazione economica. Forse per la maggior parte di quelli che sono qui questa sera, no. L’importante è che ciascuno si collochi in questa logica della quotidianità: poveri o ricchi, ma per lo meno di contatto con la vita.
E adesso è meglio se parlate voi.
GIORGIO PIACENTINI
Da dieci anni ho il privilegio di essere un discepolo di Antonietta. Un privilegio anche pesante. Quando sono andato a trovarla in Bolivia, ho avuto botte tremende. Da allora ogni tanto la incontro. In questi giorni ho potuto parlare una mezz’ora con lei. Mi hanno colpito molte cose che in quel tempo breve lei ha detto. In particolare il fatto che sta elaborando un paradigma nuovo, il paradigma della sapienza che consente di vedere tante cose che fanno parte della nostra religiosità in modo diverso. Vorrei chiedere se può dirci qualche cosa in più.
CESARE FRASSINETI
Per quanto riguarda la quotidianità, questa mi sembra una traccia, molto buona. E mentre Antonietta diceva questo concetto, pensavo gli imprenditori e ai politici. Conoscendo gli uni e gli altri devo dire che effettivamente non hanno la dimensione della quotidianità, cioè sono chiusi. Teniamo conto che sono quelli che dominano il mondo. Sono chiusi nelle loro logiche. Perdono totalmente il contatto con la vita. Grazie per questo richiamo. L’altra cosa è la progettualità. Io ho fatto per tutta la vita il programmatore. Vorrei capire un po’ meglio che cosa dice e pensa Antonietta. Mi sembra che il progettare sia una traduzione vitale della virtù della speranza. E’ questa dimensione di futuro che cerchiamo.
ANTONIETTA POTENTE
Molto brevemente su quelle due luci che dicevano Giorgio e Cesare. Io credo nel momento in cui siamo, a livello mondiale, il paradigma, il modello cristocentrico sia un po’ limitato. Credo che questo modello cristocentrico lo potremmo riscoprire lungo la nostra tradizione utilizzando il modello della Sapienza. Parlo di una Sapienza con la “S” maiuscola, una Sapienza che è così reale che per arrivare a questa Sapienza bisogna passare attraverso delle sapienze e nelle sapienze c’è la nostra vita quotidiana. In questo paradigma che sottolineava anche Cesare ci sono le nostre sapienze, ci sono gli aneliti, gli spiriti umani e dobbiamo essere molto attenti alle sapienze per poter riscoprire la profondità della vita, questa possibilità che è già esiste. Credo che in nessun momento storico il Mistero chieda agli esseri umani di inventare delle cose.
Continuo a pensare che noi impariamo a vivere solo in un ambiente, che è la storia. Passiamo tutta la vita in questa ricerca. Impariamo a vivere. Ci accomodiamo in questa storia con la creazione, con altre persone, con tutte le questioni del genere (uomini, donne, culture differenti, religioni differenti, sensibilità differenti). Passiamo tutta la vita sognando questa comunità e costruendo, dentro ai limiti umani, la comunità. Non siamo chiamati a fare cose perfette; siamo chiamati ad amare questa sapienza che già esiste.
La questione della Sapienza nella tradizione biblica è molto bella, perché con la Sapienza non solo si dialoga (io credo che fin qui ci siamo arrivati e infatti dialoghiamo). Il capitolo 8 del Libro della Sapienza usa questa immagine molto bella : La sapienza è diventata la mia compagna. Con la Sapienza noi ci dobbiamo vivere. Il Libro dice: la porterò a letto con me. Mi metterò vicino a lei. Credo che questa sia qualcosa che dobbiamo ancora imparare. Non solo a dialogare, a sopportarci, a rispettarci, ma a essere “filosofi”, visto che la filosofia è l’amore per la Sapienza: tutti noi per vivere, parliamo, viviamo insieme, cerchiamo insieme, ecc. ecc. Quando io parlo della quotidianità non è parlo di un mito. Le persone quotidiane sono persone che conoscono le necessità, i bisogni essenziali della vita. La quotidianità non è il sovrappiù. E’ l’essenzialità della vita.
C’è un’essenzialità anche spirituale. Non c’è un’ essenzialità solo materiale. Dobbiamo imparare questa sobrietà spirituale. Quanto basta per avvicinarci alla profondità del Mistero. Quello del progettare certamente, nella tradizione più antica era la Prudenza. La prudenza non era, almeno nella nostra tradizione, una virtù passiva. Prudente non era quello che non comincia mai, non progetta e non fa niente. Il progettare credo che faccia parte, come diceva Cesare, della Speranza, della Fede. Però il progetto deve essere vitale. I più sinceri nei loro progetti sono quelli che hanno bisogno dell’essenzialità della vita, non del sovrappiù della vita. E allora mi sembra che per i progetti dobbiamo interrogare quelli che conoscono l’essenzialità della vita e non quelli che pensano di conoscerla.
LUIGI BIZZARRI
E’ la prima volta che ascolto una conferenza di Antonietta ed a volte ho provato un po’ di difficoltà a seguirla, con sincerità. Ci sono due concetti predominanti che vorrei mi fossero chiariti. Il primo è quello che hai ripetuto spesso: fare famiglia, fare casa, e l’altro è quello della dicotomia tra progetto e persona. Questi sono due aspetti che almeno per la mia sensibilità non ho ancora ben chiari.
TERESA SCHIAVO
A proposito del Concetto di fare casa. Qual è la tua esperienza in questo senso. Mi piacerebbe conoscere la realtà in cui tu hai scelto di vivere.
DOMANDA.
Mi occupo di filosofia ed ho una formazione laica. Ho letto un’intervista sul l’Unità. E’ un’intervista che io ho tenuto nella borsa per mesi. E’ come se la leggessi ogni giorno di nuovo. Ne ho fatto fotocopie. L’ho mandata ai miei amici. Tutto quello che dici continua a colpirmi in modo forte, quasi che concretizzasse, rendesse corpo a questa possibilità. Ci sono delle cose che non riesco a sciogliere nemmeno dentro di me. Che rapporto bisognerebbe avere con i distratti? Possiamo ipotizzare che un giorno finiranno i distratti, che spariranno dalla terra. E se non spariranno, che cosa tiene insieme il mondo dei distratti? Credo che aprendosi alla dissociazione, molto probabilmente andrebbe rivalutato il ruolo della forza. Il mondo dei distratti è tenuto insieme solo dalla forza e questa crisi mondiale che noi viviamo molto probabilmente non deriva dall’eccessiva forza, ma dalla sua crisi. La questione generale: che rapporto c’è tra cielo e terra?
ORNELLA STAZI
Mi affascina questo concetto della sobrietà spirituale. Ma non l’ho chiaro. Ci fai qualche esempio del contrario. Quando manchiamo di sobrietà spirituale?
ANTONIETTA
Io non credo che voi possiate capire meglio il concetto di casa se vi spiego dove vivo e come vivo. Io mi riferisco al desiderio infinito di sentirsi in casa. Il diritto che abbiamo come uomini e donne di vivere come se fossimo sempre a casa. E purtroppo sappiamo che non è così, che c’è tanta gente che viene a cercare casa qui e gli togliamo il diritto di sentirsi in casa, non glielo diamo, li mandiamo via, oppure stanno qui, ma sempre come servi. Non credo che sia importante parlare di questo. A me è capitato di fare casa lì. La storia è certamente lunga, dentro la fedeltà a una congregazione religiosa, con la ricerca, la condivisione con altre persone che appartengono a questo stesso gruppo.
Tenete in conto che i testimoni (il CIPAX sta facendo questi incontri: i maestri raccontati dai discepoli) non sono delle persone che assumono il ruolo di testimoni; sono le persone trasparenti e ci sono mille persone trasparenti intorno a noi, ci sono mille situazioni. La trasparenza non è un volontarismo o la perfezione. Non è: “Io devo essere trasparente”. Uno disarmato è trasparente. Allora io credo che il problema non è sapere come fanno casa gli altri, ma è unire questi desideri di casa. Poi se abbiamo la grazia di incontrarci con altri, bene, lo conosceremo. Però è importante riscoprire che noi siamo casa, possiamo diventare casa. E’ importante che tutti abbiamo questo diritto, che tutti ce l’abbiano, per cui dobbiamo creare delle condizioni. A me è capitato di fare casa lì, mi poteva capitare altrove. Poi mi tocca fare casa da tutte le parti. Tutte le volte. Altrimenti diventa un mito. Lì si può fare casa… Lì no. No, no. Si può fare casa da tutte le parti. Questa è la grande sfida in questo momento storico. E’ un’esigenza per cui dobbiamo essere molto ascetici. Non dobbiamo andare a vedere come fanno casa gli indù o che so io…Qui davvero, da questa prospettiva di fede, che ci avvicina tutti che stiamo qui in differenti modi, abbiamo questo diritto e anche questo dovere. Questa è la nostra scelta. Questo è la nostra “storia”: politica, religione, rapporti personali, interpersonali ….Questo è il nostro sogno che ci deve svegliare tutti e far uscire dai nostri complessi, se ci sono luoghi dove si fa meglio casa oggi. Tutti cerchiamo di fare casa.
L’altra questione dei distratti mi sembra molto interessante. Io credo che ci siano due tipi di distratti. Quelli che hanno organizzato tutta la loro distrazione perché rende bene. Questo è il mercato della distrazione. Credo che anche lì si veda la contrapposizione delle persone che non sono distratte, ma non perché sono più intelligenti, più brave, più buone eticamente, ma perché l’essenzialità della vita non gli permette di essere distratti. Gli permette di essere veri, puntuali, anche se sbagliano, anche se non hanno grandissime soluzioni. C’è un mercato della distrazione. In questo momento storico, soprattutto per noi credenti, anche per le persone che avevano preso un impegno dentro la realtà. Ci sono poi i distratti per stanchezza. Vi posso spiegare chi siamo: siamo le chiese. Siamo i religiosi e le religiose, i cattocomunisti, cioè tutta la sinistra che s’è distratta per stanchezza. Guardate come siete ridotti! Ma è così in tutto il mondo però. State male. Male, male. Vi siete distratti, ci siamo distratti. Io credo che in questo momento bisogna uscire fuori da questo tipo di distrazione per potere fermare questa ideologia della distrazione che è diventata mercato. Ma credo che le istituzioni religiose hanno una grande responsabilità, devono prendere questo impegno. Non possono distrarsi per paura per stanchezza o perché le cose non sono andate come pensavano. Non importa. Dobbiamo uscire dalla distrazione. Perché qui la colpa non è solo di quelli che fanno della distrazione un mercato. Per poter continuare a vivere abbiamo una responsabilità. Non so perché, ma dovremmo pensare perché ci siamo distratti.
Forse in questa distrazione c’è la poca solidità spirituale, perché sembra che la distrazione che si fa mercato sia la maggioranza. Però la maggioranza numerica non è distratta, perché è povera e vive dentro condizioni con esigenze minime. Quindi la maggioranza numerica non è distratta, ma la distrazione che si fa mercato ha dietro di sé un’ideologia della distrazione per cui sembra molto più forte.
Dobbiamo credere nella minoranza che ha fatto della distrazione mercato o nella maggioranza numerica. Credo che dobbiamo credere alla maggioranza numerica che non è distratta, Cammina con molta attenzione, come può. Come sa, con tutti i mezzi. Si arrangia. Per poter rimanere fedeli. Credo che molta distrazione sia dovuta a questa poca sobrietà. Non so bene come la potremmo tradurre, ma forse ritorneremo a questo concetto del Segreto. Il concetto del Segreto che ci aiuta a essere un po’ più solidi. Io non lo devo sapere (non solo perché non posso, ma perché la Sapienza, le sapienze sono molteplici, appartengono ad altri, per cui io non posso vivere con l’ansia di appropriarmi delle sapienze, ma devo lasciare fare e che a fare siano gli altri, con le loro identità,
La dicotomia progetto-persona, di cui diceva Luigi. Io credo che sia una dicotomia culturale. Credo che ci venga da una tradizione occidentale che è dicotomica filosoficamente.
Credo che nel momento in cui sappiamo come superare questa dicotomia, non esistano i progetti o le persone. Il problema è credere che le persone sono progetti e non che i progetti rispondono alle persone. Tutti noi siamo un progetto, abbiamo una capacità. Certamente ci sono bagagli culturali che possono rendere difficile tutto questo. Dobbiamo cambiare i paradigmi, teologici, sociologici e sociali.
Infine ancora sul fare casa. Solo raccogliendo questa inquietudine della casa (credo che tutti siamo coscienti del momento che stiamo vivendo: noi parliamo di casa, ma molti non hanno neppure il diritto di fare casa) Per loro è un’urgenza ancora di più, se è vero, perché sappiamo che è vero, che in questa storia ci sono tante persone che hanno perso il concetto di casa, perché non vi hanno mai vissuto.
Però vorrei anche dirvi che non solo ci sono tante persone che non hanno casa, non possono farla per tanti motivi, ma anche che non posso farla perché noi non permettiamo che le persone la facciano come la vogliono. E penso nella prospettiva di case già fatte, penso alle nostre religioni, ai nostri spazi religiosi. Non si permette che le persone mettano i loro dettagli per far casa. E stata citata la chiesa; la chiesa deve permettere ad altri di mettere i lorodettagli per far casa. Altrimenti non è un casa. La casa non è un luogo dove solo uno decide, perché allora c’è un gran patriarcato o c’è un dittatore. Fare casa non è immagine, ma un’esigenza a tutti i livelli della nostra società e soprattutto considerando che queste sapienze hanno altre “forme”. La Sapienza di ciascuno di noi può essere un dettaglio in questa casa. Perché se veramente è casa mia, se non mi piace questo quadro ne metto un altro. A me sembra che qui non sia solo questione di diritti umani, ma di rispetto profondo per le diversità. E un esercizio molto costoso. Forse più costoso dell’esercizio economico. Grazie e continuate a far casa e faremo casa in molte parti del mondo.
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