Il dono dello smarrimento
di g.g.
Come avviene il passaggio da una fede imprigionata nelle strutture autoritarie, una fede confessionalistica, inconsapevole, sottomessa al potere, ad una fede matura, liberata, profondamente radicata nel quotidiano, che nasce dalla difficoltà della ricerca e che si fonda sulla fedeltà al vangelo?
Non si tratta di una domanda di facile risposta! O, meglio, potrebbero essere date molte risposte. Certo si tratta di un problema che è vivo nel cuore di chi cerca di essere fedele al vangelo. Un nodo centrale. Il passaggio dalla fede del catechismo ad una fede vissuta con consapevolezza.
Alcuni potrebbero rispondere che gli uomini non sono uguali, che i processi di maturazione della consapevolezza sono individuali e che dipendono dagli stati di coscienza finora attraversati. Che alcuni crescono e che altri restano imprigionati nell’inconsapevolezza di sé. In qualche modo tutto questo è vero. Questo ragionamento, però, non spiega tutto e potrebbe voler giustificare la superiorità di alcuni individui rispetto ad altri con le relative teorie filosofiche, antropologiche, ecc. Occorre cercare un modo nuovo per affrontare il problema, che sia fedele all’annuncio della basileia di Dio, annuncio che è rivolto a tutti, specialmente ai poveri, agli esclusi e agli oppressi.
Bisogna partire dall’analisi sociologica della struttura ecclesiastica. La chiesa cattolica è assimilabile, infatti, alle metafore sociologiche del guard(i)a-caccia e del cacciatore: da una parte cerca di salvaguardare il proprio “gregge” e i privilegi acquisiti; e dall’altra cerca di allargare la propria influenza ed accrescere i propri adepti. Tutto ciò determina una struttura verticistica e chiusa, dove ogni singolo tassello è funzionale al potere e all’organizzazione della struttura stessa. Questa formula si dimostra vincente ed efficace socialmente. Con questa organizzazione la chiesa non è funzionale al messaggio evangelico, ma al contrario, il messaggio evangelico viene utilizzato funzionalmente dalla struttura stessa per giustificarne l’esistenza.
Questo sistema strutturale, tuttavia, non esclude totalmente al suo interno la possibilità di generare individui o gruppi che mettono in discussione il sistema stesso. Capita, infatti, che avvengano dei dissensi, degli elementi che periodicamente mettano in discussione l’esistenza della struttura stessa attraverso movimenti che fanno emergere le contraddizioni interne. La struttura ecclesiastica risponde efficacemente attivando al suo interno dei meccanismi, assoluti e/o contingenti, di esclusione degli individui ritenuti pericolosi per la sopravvivenza del sistema.
Tale meccanismo è provato dall’esistenza di una serie di sanzioni disciplinari all’interno della chiesa cattolica, la scomunica per esempio, che non esistono nel mondo ebraico e nella tradizione del popolo di Israele.
Per cui avvengono due movimenti. Il movimento di chi dissente apertamente e esplicitamente, per cui subisce delle sanzioni (sospensione, scomunica, divieto di insegnamento...) che lo portano ad essere escluso dal sistema per una scelta esplicita. E il movimento di chi, per una ragione che potremmo chiamare “ontologica”, dissente semplicemente per il fatto di esistere in quanto consapevole del proprio essere se stesso (questo avviene per le persone omosessuali, le donne, ecc). Queste persone, o accettano di essere “metabolizzate” attraverso l’imposizione di un ruolo socialmente e dottrinalmente accettabile, processo che rappresenta un’alienazione del proprio io, oppure tendono ad essere escluse implicitamente attraverso un sistema giuridico/dottrinale che salvaguardia la struttura da ogni possibile crepa.
Qui avviene la rottura. Le persone, gli individui, i gruppi che subiscono i processi di esclusione, che prendono coscienza di tali strutture di repressione e che si sentono non tollerati all’interno della chiesa maturano una situazione/sentimento/coscienza che chiameremo “smarrimento”.
Questo smarrimento nasce dall’impossibilità di accettare e di riconoscere nella propria vita le formulazioni dottrinali imposte dall’autorità ecclesiastica, che tuttavia non derivano direttamente dal messaggio evangelico. Si tratta di un periodo di crisi che può durare anche diversi anni e che può essere generato da fattori che attengono la propria differenza, il proprio orientamento sessuale, la ricerca e i cammini compiuti, la presa di coscienza delle profonde contraddizioni che caratterizzano la struttura ecclesiastica.
Dallo smarrimento possono nascere due risposte. La prima è il completo allontanamento dalla fede perché vista fortemente in relazione con la struttura-chiesa. La seconda è la travagliata ricerca di una fede liberata e consapevole che si manifesta nel profondo attaccamento alla vita nella sua quotidianità, e che non teme di mettere in discussione le certezze e le formulazioni dogmatiche.
Lo smarrimento, quindi, è il luogo teologico privilegiato per la ricerca di nuove soluzioni al disagio e all’incertezza che caratterizzano la vita sociale ed ecclesiale di molte persone.
Questo concetto chiave della fede è affrontato da Franco Barbero nella seconda edizione del suo libro Il dono dello smarrimento, Il Segno dei Gabrielli editori, 2007. «La proposta di Franco Barbero è alternativa a una visione che risponde all’incertezza con scelte di stampo dogmatico e tradizionalistico. In realtà per Barbero la “tradizione” è un oceano mosso e vitale, attraversato da mille correnti: immobilizzarla significa non riconoscere la vitalità cristiana nei secoli, la sua fioritura plurale. Questo è tanto più vero se allarghiamo il problema al confronto ecumenico e al dialogo interreligioso». (Dalla presentazione del libro).
Il dono dello smarrimento, che a prima vista potrebbe apparire un non-senso, può essere la categoria di giustificazione del passaggio da una fede catechistica e integralista ad una fede consapevole e liberata, attaccata e fedele alla vita e proiettata verso l’altro nel suo manifestarsi escluso, povero, affamato, diverso...
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