lunedì 28 luglio 2008

Dibattito sul Manifesto della sinistra cristiana sul sito degli atei - uaar

Torna a farsi sentire la sinistra cristiana.
Cosa pensa chi cristiano non è.

Nei giorni scorsi il sito dell'Unione degli atei, agnostici, razionalisti ha riportato la notizia dell'estensione del "Manifesto della sinistra cristiana" (vedi notizia). Il sito ha riportato il testo linkando il nostro blog. Ci teniamo pertanto a fare alcune precisazioni e a portare il nostro contributo al vivo dibattito che si è generato.


Precisazione. Prima di tutto occorre fare una precisazione in merito all'estensione del «Manifesto della sinistra cristiana». Il sito dell'Uaar ha linkato il testo del «manifesto» dal nostro blog. Il nostro blog aderisce e appoggia il manifesto - non per niente lo ha rilanciato - ma non è un estensore «ufficiale» e diretto del testo. Pertanto ogni altro contenuto presente sul blog (il «Credo» di Frei Betto, per esempio) non è necessariamente da imputare in alcun modo ai firmatari del «manifesto», così come gli altri interventi presenti su Teologia&Liberazione.

Ci sembrava doverosa questa precisazione in quanto alcuni commentatori hanno collegato altri contenuti presenti nel nostro blog direttamente al «Manifesto della sinistra cristiana». Non vorremmo mai mettere in bocca ad altri parole da loro mai pronunciate. Il testo del «manifesto» si può trovare, ed è stato pubblicato, anche su altri siti e/o altre testate (Adista - www.adistaonline.it; Liberazione – www.liberazione.it, ecc).

Nel merito della questione. Per quanto riguarda la discussione, entrando nel merito della questione, ci preme sottolineare alcune cose. Una volta precisata l’estraneità delle parole di Frei Betto rispetto al «manifesto» (la posizione a margine del post sul «manifesto» non indica nessun apparentamento tra i due testi) si può procedere esprimendo alcune considerazioni:

1. È giusto e legittimo domandarsi se i cristiani (così come gli atei, i buddisti, o altri) abbiano o meno il bisogno di costituire un gruppo di lavoro politico, una rete o un cartello di associazioni o persone che possano intervenire a livello politico. Questa è una questione irrisolta nella storia della politica del nostro Paese, e anche nella storia del Cristianesimo. Un problema che ha sempre accompagnato la storia di questa religione e i suoi rapporti con il potere (monarchico o democratico che sia), si pensi per esempio alla lettera A Diogneto (II sec. E.V.).

2. È vero che esiste un problema, in seno alla chiesa di base, riguardo il posizionamento di alcuni esponenti del clero (don Ciotti, don Gallo...) rispetto alle gerarchie – non è l’esempio di Enzo Mazzi o di Giovanni Franzoni, persone che hanno pagato di persona il loro dissenso nei confronti della gerarchia cattolica. Molti preti preferiscono «buttarsi nel sociale» per evitare di dover prendere pubblicamente delle posizioni contrarie alle gerarchie. Ciò non toglie la preziosità del loro lavoro sociale e politico. Chi, invece, prende posizione pubblica contro le logiche di potere imperanti in Vaticano viene emarginato, scomunicato, sospeso, dimesso... (È l’esempio di don Enzo Mazzi, don Franco Barbero, dell’abate benedettino Giovanni Franzoni... e di tanti altri). Proprio quest’ultimi sono messi a tacere ed emarginati dalle gerarchie perché si sono posti ai margini della chiesa aperti al dialogo e all’accoglienza del diverso, dell’altro. Basti vedere la scarsissima risonanza che hanno le Comunità di base o il movimento «Noi Siamo Chiesa» sui media, critici direttamente verso le posizioni delle gerarchie ecclesiastiche; gruppi che hanno sempre combattuto per un rinnovamento della teologia, per la laicità dello Stato e l’abrogazione del Concordato fascista, ecc – unendo questi impegni di natura ecclesiale ad una forte presenza nel sociale e nel politico.

3. Le gerarchie non interverranno su questo progetto della Sinistra cristiana (cristiana e non cattolica – si badi bene a non confondere le due cose!); semplicemente verrà messo a tacere e si cercherà di far calare un velo di indifferenza e di silenzio sui possibili esiti di questa iniziativa. Questa, forse, è una delle motivazioni che hanno spinto gli estensori e i firmatari del «manifesto». Infatti, il vero problema – pragmatico – è che i cristiani a sinistra passano sempre inosservati e si è portati a pensare che non c’è ne siano, che siano tutti concentrati al centro o a destra. Questa è l’immagine «unanimista» che le gerarchie vogliono far passare (Ruini primo fra tutti). Il compito dei cristiani di base è proprio quello di testimoniare la molteplicità dei punti di vista, la diversità, la «convivialità delle differenze». Bisogna mostrare la realtà nella sua relatività, nella sua complessità, scardinando le logiche di potere che vorrebbero ridurre tutto «ad unum». In questo senso il «manifesto» è da considerarsi positivo e politico nel vero senso della parola – nessuno ha intenzione di formare un nuovo partito.

4. Purtroppo, spesso, questi tentativi di «conversazione» (come direbbe Rorty) sono visti anche dagli atei come tentativi di intromissione da parte di frange progressiste (avanguardie della gerarchia?) con il compito di aprire degli spazi, delle brecce, in tutti i campi della società. Non è il caso dei movimenti di base, portatori di istanze e critiche radicali. Marcello Vigli, per esempio, ricorda spesso questo aspetto. Da anni impegnato per la laicità dello Stato, della scuola, contro il Concordato, Vigli ha sempre avvertito un certo sospetto nei suoi confronti all’interno degli ambienti laici dove si è impegnato per portare avanti queste lotte. Un «sospetto» dovuto alla sua fede - non religione - alla sua appartenenza alle Comunità di base.

Il progetto del «manifesto» è importante perché vuole scardinare questa concezione della spartizione netta, di conformismo categorico – almeno così lo leggiamo noi. In questo senso è molto più utile alla «politica» ecclesiale che a quella dello Stato. È molto più utile perché vuole sradicare la percezione che si ha comunemente del mondo cristiano, del suo «assolutismo», del suo dogmatismo, della sua unanimità a tutti i costi - soprattutto in Italia per via della Chiesa cattolica romana.
In questo senso la lotta dei cristiani di base ha bisogno anche della riflessione del mondo ateo, agnostico, razionalista. Grazie al dialogo, infatti, è possibile far vedere a chi ha gli occhi puntati con un cannocchiale su un unico punto di vista che, non solo i cannocchiali sono tanti, ma anche i punti di vista sono molteplici, differenti. Credere non significa avvallare una forma politica, un potere specifico - vaticano o no - ma camminare insieme scoprendo, giorno per giorno, l’insegnamento di Gesù, un uomo, ebreo, di Nazaret vissuto nella Palestina di 2000 anni fa.

Grazie per l’attenzione e per i contributi, sempre preziosi.
Un saluto cordiale.

g.g.
Teologia&Liberazione (teologiaeliberazione.blogspot.com)

venerdì 11 luglio 2008

Manifesto della sinistra cristiana: ritorno alla politica

Per una sinistra cristiana

Siamo tutti vittime di una disfatta della politica che, dopo la rimozione del muro di Berlino, vissuta come la vittoria ultima di una parte sull'altra, ha rinunciato a fare un mondo nuovo preferendo rilanciare il vecchio, a cominciare dal suo ancestrale sovrano "diritto alla guerra". Ciò facendo i poteri dell'Occidente hanno abdicato alla responsabilità di guidare il corso storico, mettendo tutto nelle "mani invisibili" del Mercato, del quale si sono fatti sudditi, guardiani e sacerdoti. E questo lo dice pure Tremonti, dal fondo del pensiero reazionario Ma poiché il meccanismo così innescato ha creato isole di ricchezza in un oceano di naufraghi, incrementando povertà, insicurezza e disordine, la politica si è fatta polizia per domare terroristi e riottosi, alzando il livello di violenza preventiva e repressiva e mettendo sotto i piedi verità, diritto, Costituzioni e Convenzioni internazionali, ivi comprese quelle umanitarie. E questo non lo fa solo Tremonti, lo hanno fatto classi dirigenti di destra e di sinistra, anche in regimi inutilmente bipolari.
Oggi non solo c'è bisogno di tornare alla politica da cui molti con giusto disappunto si sono allontanati, come hanno fatto due milioni e mezzo di nuovi astenuti nelle ultime elezioni, ma c'è bisogno di una politica "altra"; né del resto alla vecchia politica questo ritorno sarebbe possibile, né ad essa possibile l'approdo dei giovani; c'è bisogno di una ricostruzione della politica come un "essere per gli altri", a cui tutti sono chiamati. Perciò rivolgiamo questo

Appello alle donne e agli uomini che vogliono operare per la giustizia per un ritorno alla politica.

Proponiamo pertanto di promuovere con il nome di Sinistra cristiana una rete di Gruppi, di aggregazioni e di servizi "per la Costituzione, la laicita' e la pace": cioè per l'unità degli uomini nella giustizia e nel diritto, per la responsabilità comune di "credenti" e "non credenti", per la crescita del mondo. Dire Sinistra cristiana non significa qui riferirsi alla pur positiva esperienza che ebbe questo nome dal 1938 al 1945, né crearne oggi una nuova, ma fare appello a quella sinistra cristiana che è già nel Paese ed è nascosta nel fondo di molti di noi. Ciò comporta una scelta di campo di sinistra, cosa che in un'Italia drasticamente divisa in due sole parti politiche non significa più sposare una determinata ideologia, ma assumere il peso della contraddizione, mentre della sinistra rivendica la dignità, contro tutte le delegittimazioni e diffamazioni.
Si tratterebbe di dar vita ovunque sia possibile, nel territorio nelle istituzioni e nelle assemblee elettive, a un "Servizio politico" che da un lato abbia lo scopo di favorire la partecipazione politica dei cittadini, offrendo loro, indipendentemente dalle rispettive opinioni, dei servizi e degli aiuti per agevolarli nell'adempimento dell'art. 49 della Costituzione; dall'altro che abbia lo scopo, come parte tra le parti, di promuovere in modo associato iniziative, corsi e scuole di formazione politica, riattivare canali di comunicazione coi giovani, elaborare culture, soluzioni e proposte legislative, intervenire nel dibattito pubblico e, se necessario, partecipare anche direttamente all'azione politica per concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale e instaurare la giustizia e la pace tra le nazioni, sempre promuovendo alternative costruttive e nonviolente nei conflitti; e ciò entrando nelle contraddizioni in atto, tra cittadini e stranieri come tra uomini e donne, tra regolari e clandestini, tra necessari ed esuberi, e cercando di ristabilire i legami tra il quotidiano, la cultura, la politica e una speranza nuovamente credibile; sapendo che se non subito si può cambiare il mondo, si può intanto cambiare il modo di stare al mondo.
La definizione di questa rete di Gruppi e di iniziative come "Servizio politico", intende non solo identificare il criterio della politica nel servizio e non nel potere, ma anche riprendere la radicale illuminazione secondo la quale il vero modo per evitare che nella vita collettiva gli uni siano nemici degli altri, è che tutti si riconoscano servi gli uni degli altri.
Il nome di Sinistra cristiana, poi, non comporta un'identificazione confessionale, che in nessun modo può confondersi con una divisa politica, ma intende alludere a un mondo di valori, tutti negoziabili, ossia non imposti, purché prevalgano l'amore e la libertà, vuole indicare come discriminante il principio di eguaglianza e, nel conflitto, significa fare la scelta dei poveri delle vittime e degli esclusi. Si tratta dunque di un nome nuovo che si riferisce tuttavia a una ricca e variegata tradizione di impegno politico che va da Murri a Sturzo a Dossetti, dai cristiani della Resistenza ai "professorini" della Costituente, da Rodano a Ossicini a Gozzini, dalla cruenta testimonianza di Moro a quella della salvadoregna Marianella Garcia Villas, che hanno attraversato il Novecento italiano.
Quanti intendono associarsi a questo appello sono invitati a farsi promotori delle relative iniziative nelle realtà a cui ciascuno appartiene, salvo poi ogni possibile coordinamento. E se per ottenere risultati è necessario coinvolgere molti, anche due o tre che si riuniscano per queste cose già compendiano tutto il significato dell'azione.
Per un incontro di carattere nazionale, da convocarsi a settembre, si può prevedere fin da ora di mettere all'ordine del giorno, come primissime urgenze, il ritorno alla rappresentanza proporzionale senza snaturamenti maggioritari, e l'affermazione del principio che i diritti sono uguali per tutti: dove la proporzionale è la condizione per non dare troppo potere a qualunque "sovrano del popolo" e perché anche una minoranza possa continuare a rivendicare diritti uguali per tutti contro maggioranze che li neghino.

Raniero La Valle, Patrizia Farronato, Giovanni Galloni (ex vice-presidente del Consiglio superiore della Magistratura), Rita Borsellino, Adriano Ossicini (presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica), Carla Brusati Barbaglio, Mimmo Gallo (magistrato di Cassazione), Giuseppe Campione (ex-Presidente della Regione siciliana), Boris Ulianich (storico del cristianesimo), Annamaria Capocasale (segretaria della Scuola "Vasti"), Roberto Mancini (ordinario di filosofia teoretica all'università di Macerata), Amelia Pasqua, don Mario Costalunga, Laura Brustia, Francesco De Notaris, Agata Cancelliere, Giovanni Franzoni, Renata Ilari, Giovanni Avena (direttore editoriale di Adista), Emilia Carnevale, Giulio Russo(responsabile del Centro di servizi per il volontariato), Nicola Colaianni, Padre Nicola Colasuonno (direttore di Missione oggi), Donatella Cascino, Pasquale Colella, Franco Ferrara, Padre Alberto Simoni (direttore di Koinonia), Bernardetta Forcella, Giovanni Benzoni, Angelo Bertani, Enrico Peyretti, Francesco Comina, Chiara Germondari, Ettore Zerbino, Alessandro Baldini (Comitati Dossetti per la Costituzione), Claudio Bocci, Antonio Cascino, Anna La Vista, Federico D'Agostino, Pasquale De Sole, Franco Ferrari, Gianvito Iannuzzi, Luca Kocci, Angela Mancuso, Gianfranco Martini, Giuseppe Mirale, Francesco Paternò Castello, Maria Antonietta Piras, Fiammetta Quintabà, Corrado Raimeni, Maurizio Serofilli (Comitati Dossetti per la Costituzione), Gabriella Saccami Vezzami, Luca Spegne, Maria Rosa Tinaburri, Paola e Claudio Tosi, Angelo Cifatte, Piero Pinzauti, Nanni Russo, Alessandra Chiappino (presidente dell'Istituzione Servizi educativi, scolastici e per le famiglie di Ferrara), Enrico Grandi (prof. anatomia patologica all'Università di Ferrara), Franco Borghi.

Per aderire all'appello: manifestosinistracristiana@adista.it
I firmatari saranno poi invitati a una riunione costituente per decidere come condurre il seguito dell'iniziativa

mercoledì 9 luglio 2008

Giovanni Franzoni racconta le dimissione del '73

Lo sapete che diedi le dimissioni
da abate di San Paolo per colpa dello Ior?
Vi racconto di quando nel '73 diedi le dimissioni da abate di San Paolo per colpa dello Ior

di Giovanni Franzoni



Secondo il secolare insegnamento della morale cattolica, l'interesse sul denaro prestato era proibito perché equiparabile all'usura. Solo ai Monti di pietà era consentito di prendere qualcosa per retribuire il personale addetto; ma mai era consentito prendere interesse. Quindi era inconcepibile che ci fossero delle banche cattoliche; con l'irruzione della modernità nella società si è verificato, fra i moralisti cattolici, un progressivo cambiamento di pensiero.


Col nascere dello Stato Città del Vaticano le cose si sviluppano e Pio XII, nel 1942, crea l'Istituto per le Opere di Religione - Ior - che è una vera e propria banca che, pur non avendo sportelli accessibili ai miseri mortali, accetta depositi e compie operazioni finanziarie. Riformato da Giovanni Paolo II nel 1990, dopo gli scandali intorno alle gigantesche operazioni finanziarie compiute da mons. Paul Marcinkus, che ne era stato presidente, e che portarono al fallimento del Banco Ambrosiano e alla morte tragica di Calvi, trovato impiccato a Londra, sotto il ponte dei Frati Neri, ormai, quasi certamente, non suicida ma assassinato da gente del clan della Magliana.

L'ombra dello Ior ritorna però, di tempo in tempo, ad oscurare il cielo di Roma e della Chiesa cattolica nonché le coscienze dei credenti. Succede così che una signora - Sabrina Minardi - dichiarando di aver avuto in custodia Emanuela Orlandi, chiama di nuovo in causa Marcinkus e il clan della Magliana e scatena l'ipotesi di disseppellire il corpo di Enrico De Pedis, boss del clan, sepolto nella chiesa di Sant'Apollinare e quindi in zona extraterritoriale di competenza del Vaticano. Alle domande dei giornalisti circa un così alto privilegio (solo i papi e i sovrani sono sepolti nelle chiese), il custode di Sant'Apollinare pare abbia risposto che De Pedis era stato un generoso benefattore. Viene da domandarsi, ma se muore - fra cento anni - Bill Gates, dove lo seppelliranno? Accanto a San Pietro?


Non è mio compito fare l'investigatore e quindi lascio agli inquirenti di chiarire le cose. Ciò che mi tocca e mi turba è il fatto che tante coscienze, laiche o religiose che siano, rimangano ferite da queste notizie e, anche se fossero false, dal miscuglio di sacro e profano che seguita a imperversare intorno al fatto religioso.


La mia memoria ritorna al 1973, quando fu proprio uno scandalo dello Ior il fatto occasionale che provocò le mie dimissioni da abate di San Paolo e mi strappò dal consorzio fraterno con i miei monaci, dalla collaborazione con alcuni confratelli della Conferenza episcopale italiana e del Comitato italiano dei Superiori Maggiori. La mia situazione era già delicata per le provocazioni e gli assalti squadristici in Basilica, dei cattolici ultra-conservatori. Avevo avuto, senza esito, una visita canonica e due visite apostoliche. Infine fui chiamato in Vaticano da mons. Mayer, segretario della Congregazione dei religiosi, che mi disse: «Ormai i due terzi della sua comunità preferirebbero le sue dimissioni. Lei che è così democratico dovrebbe tenerne conto. Comunque il Santo Padre, nella sua liberalità, desidera che lei resti al suo posto, a due condizioni: tutti gli atti interni all'abbazia siano concordati col Consiglio degli anziani e tutti gli atti esterni col Vicariato». Accettai e, tornato a San Paolo, convocai i miei collaboratori nell'estensione della lettera pastorale La terra è di Dio dicendo che bisognava sospendere perché se avessi avuto il controllo del Vicariato l'avrebbero limata e resa irriconoscibile.


Una notte di aprile, lo Ior compì una spregiudicata operazione sul dollaro, tanto da meritare una nota di deplorazione da organismi di vigilanza bancaria. Arriva la domenica e un giovane studente va al microfono per la preghiera dei fedeli e dice: «Signore! Ti prego! Fai che se avrò un figlio, possa crescere in una Chiesa che non sia deplorata perfino dal sistema bancario internazionale!». Lunedì mi richiama Mayer: «Ma lei aveva promesso! Non controlla le preghiere dei fedeli?». «Posso provare, risposi, ne parlerò in comunità». Convoco la comunità e si accende una animata discussione sul che fare. A un certo punto si alza Vincenzo Meale e dice: «Padre abate, è inutile che stiamo qui a chiacchierare, poi chi paga è solo lei. Vogliono fare come il ministro degli Interni farebbe con un prefetto. Lei ha aperto una porta per la nostra fede. Loro non vogliono chiuderla: vogliono usare lei come una maniglia che chiude la porta che ha aperto. Mi dia retta, obbedisca. Però voglio sinceramente dire che con questo, la mia esperienza di fede si chiuderebbe». Risposi «Ho capito». E sciogliemmo l'assemblea. Il giorno dopo andai da Mayer e gli dissi: «Io sapevo fere l'abate in un certo modo, se non può andare è meglio che concordiamo le dimissioni». Concordammo la data del 12 luglio e così ebbi il tempo di finire La terra è di Dio e di pubblicarla. Non porto rancore personale verso lo Ior ma mi resta l'amaro in bocca, perché certe istituzioni uccidono la fede e poi, sotto la maschera del trionfalismo di piazza, praticano il culto della personalità e la superstizione.


da Liberazione 09/07/2008

giovedì 3 luglio 2008

Commento al vangelo di domenica 6 luglio 2008

La profezia appartiene ai piccoli

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Matteo 11, 25-30)

Questa preghiera di Gesù è come un sussulto di gioia. L’evangelista Matteo la inserisce in un contesto in cui Gesù viene ostacolato e i suoi oppositori non lo comprendono. Nonostante il rifiuto, Gesù esprime il suo sì gioioso al Padre e al suo disegno. La parola di Gesù che annuncia il Regno viene rifiutata dai capi religiosi del popolo, ma allo stesso tempo viene accolta dalla gente semplice e ignorante – qui sta la vera forza dell’annuncio del Galileo.

La missione di Gesù si sta rivelando un fallimento. Tuttavia gli unici che sembrano accogliere il suo messaggio sono i semplici. Gesù non può fare altro che domandarsi il perché di questo. Egli riconosce, in qualche modo, la presenza salvifica di Dio in questo momento storico. Con stupore, Gesù constata che i sapienti, cioè i farisei e i maestri della legge, sono tagliati fuori, mentre i piccoli d’intelligenza, cioè il popolino semplice e ignorante delle prescrizioni della legge mosaica, diventano i beneficiari dell’avvenimento di grazia. Sono questi ultimi, tagliati fuori dal rapporto «diretto» con Dio, che riconoscono davvero la presenza di Dio nella storia.

Solo i «piccoli», infatti, sono abituati a vivere e, quindi, a riconoscere il valore della vita e la presenza del Padre. Essi non sono sacerdoti, non sono funzionari di Dio, non sono gli addetti ai lavori. Sono persone semplici che vivono, soffrono, amano, conoscono cosa significa procurarsi il necessario per vivere lavorando, conoscono le difficoltà della vita e possono provare su di esse la loro fede.

Gesù fa questa scoperta stupefacente: i «grandi» sono chiusi nella loro autosufficienza, mentre i «piccoli» sono capaci di aprirsi umilmente al dono di Dio. Questa scoperta è per lui fantastica, tanto da dover innalzare a Dio un canto, una preghiera di lode per ringraziarlo del suo amore: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra».

Dio è presente nella storia in maniera inedita, nuova, inattesa. La sua azione non si può prevedere. Dio non si fa ridurre all’interno di schemi costruiti e preconfezionati da quelli che di mestiere fanno i teologi, i sacerdoti, i dottori.

Questa affermazione appare così vera oggi! Ci troviamo di fronte a situazioni dove, di fronte alla precarietà, all’incertezza, alla confusione, le autorità tradizionalmente detentrici del potere interpretativo, sacerdotale, salvifico (le chiese, le gerarchie...) tendono a chiudersi, ad arroccarsi sui propri baluardi, a non transigere su quelli che chiamano «valori non negoziabili». Eppure non si accorgono che le sfide che la modernità pone – che in fin dei conti sono le sfide della vita di oggi – potrebbero essere il luogo della profezia, della presenza di Dio nella storia, oggi. Non si accorgono nemmeno che è inutile nascondersi dietro un dito ma accorre affrontare le situazioni con coraggio. Non basta scappare e tacciare tutto quello che non appartiene alla propria tradizione religiosa di «relativismo»!

Questi che si credono «sapienti e intelligenti» hanno gli occhi chiusi, le ali tarpate, le mani rattrappite, le orecchie tappate, il naso otturato. Non vogliono vedere Dio presente nelle donne, nelle nuove forme di amore che pretendono – giustamente – anche un riconoscimento politico e sociale. Non vogliono vedere la grazia nella possibilità dell’uomo di esplorare e comprendere il cosmo, la natura, la vita. Non vogliono riconoscere l’esigenza di un nuovo modello economico di sviluppo che sia giusto, che non mieta vittime innocenti a causa della fame, a causa della ricchezza di quel 15% del pianeta che si ritiene «fortunato» invece che colpevole. Questi «intelligentoni» non hanno il coraggio della partecipazione consapevole, della democrazia, non hanno neppure il coraggio profetico di condannare la guerra senza «se» e senza «ma».

Sostanzialmente, oltre alla conservazione del potere che è tipica dell’istituzione, costoro hanno paura del diverso, della novità, della possibilità, della molteplicità. Non mi riferisco solo alle gerarchie cattoliche – senza con questo voler togliere loro la responsabilità che gli spetta – ma anche a tutti coloro che vorrebbero vivere in pace, tranquilli, senza l’inquietudine di scoprire che la realtà è molto più complessa di come appare a prima vista. Mi riferiscono a coloro che vorrebbero nascondere i gay, che li vorrebbero in giacca e cravatta – danno meno fastidio certo! – mi riferisco a chi ha paura dello straniero, a chi vorrebbe schedare su base razziale, addirittura, i bambini.

Ma Gesù ha scoperto che Dio è più grande di tutte queste cose, che abbraccia tutti senza riserve. Ha scoperto quanto l’amore travalica le barriere sociali, sessuali, razziali... Quando gli uomini e le donne faranno la stessa scoperta che ha fatto Gesù?

Il giogo che questi «intelligenti», potenti e grandi della storia, hanno caricato sulla nostra schiena è insopportabile. Al tempo di Gesù i dottori della legge e i farisei avevano imposto al popolino pesi troppo pesanti da portare. Infatti avevano costruito attorno alla legge di Dio una fittissima siepe di prescrizioni minuziose che, sotto il peso di un’osservanza rigida e scrupolosa, soffocavano lo slancio obbediente della libertà dell’uomo. Gesù si mostra un maestro diverso, come diversa è la legge (il giogo) che ci insegna: leggera, non onerosa. Egli propone di diventare suoi discepoli. Discepoli di un maestro «non violento né altero». Egli non si impone con violenza; al contrario è solidale con gli umili e con i poveri. Il suo giogo facile da portare consiste nell’imitarlo sulla strada dell’amore del prossimo, un amore compassionevole e misericordioso. Così egli promette ai suoi discepoli profonda pace nella loro vita.

Anche noi, oggi, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere questa presenza di Dio nella nostra storia. Non possiamo demandare il compito agli altri. A volte siamo bloccati e incapaci di vedere le cose belle che Dio rivela ai piccoli. I nostri occhi fanno fatica a distogliersi dagli accadimenti dolorosi, dalle violenze, dalle ingiustizie. Oggi è il tempo della profezia. Non possiamo più aspettare i «profeti»; questi ormai sono passati. Troppe volte, anche nelle nostre comunità, si sente il rimpianto per gli uomini e le donne a cui il Signore ha affidato il compito della profezia nel passato; «ah come era bello quando c’era questo o quel profeta: lui sì che non aveva paura di dire le verità scomode!». Basta rimpianti! Dobbiamo avere il coraggio di prendere, di assumere, questa profezia nella nostra vita; di farla nostra, di non aspettare che venga qualcun’altro a raccontarcela, a raccontarla. Ognuno nel suo piccolo, con la libertà che Dio ci ha dato, deve riscattare la profezia. Il coraggio della profezia spetta solo a noi, e si realizza all’interno delle nostre piccole vite, ogni giorno.

Un anno fa Frei Betto (domenicano e teologo della liberazione brasiliano) elaborò una «nuova» professione di fede che qui voglio proporvi:

Credo nel Dio liberato dal Vaticano e da tutte le religioni esistenti e che esisteranno. Il Dio che è antecedente a tutti i battesimi, pre-esistente ai sacramenti e che và oltre tutte le dottrine religiose. Libero dai teologi, si dirama gratuitamente nel cuore di tutti, credenti e atei, buoni e cattivi, di quelli che si credono salvati e di quelli che si credono figli della perdizione, e anche di quelli che sono indifferenti al mistero di ciò che sarà dopo la morte.

Credo nel Dio che non ha religione, creatore dell’universo, donatore della vita e della fede, presente in pienezza nella natura e nell’essere umano. Dio orefice di ogni piccolo anello delle particelle elementari, dalla raffinata architettura del cervello umano fino al sofisticato tessuto dei quark.

Credo nel Dio che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, attrae, collega e unisce: l’amore. Tutto l’amore è Dio e Dio è il reale. E trattandosi di Dio, non si tratta dell’assetato che cerca l’acqua ma del’acqua che cerca l’assetato.

Credo nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri. Credo nella teofania permanente e nello specchio dell’anima che mi fa vedere gli altri diversi dal mio io. Credo nel Dio, che come il calore del sole, sento sulla pelle, anche se non riesco a contemplare la stella che mi riscalda.

Credo nel Dio della fede di Gesù, Dio che si fa bambino nel ventre vuoto della mendicante e si accosta nell’amaca per riposarsi dalle fatiche del mondo. Il Dio dell’arca di Noé, dei cavalli di fuoco di Elia, della balena di Giona. Il Dio che sorpassa la nostra fede, dissente dei nostri giudizi e ride delle nostre pretese; che si infastidisce dei nostri sermoni moralisti e si diverte quando il nostro impeto ci fa proferire blasfemie.

Credo nel Dio che, nella mia infanzia, piantò una acacia in ogni stella e, nella mia giovinezza, si mise in ombra quando mi vide baciare la mia prima innamorata. Dio festeggiatore e bisboccione, lui che creò la luna per adornare la notte della delizia e l’aurora per incorniciare la sinfonia del volo degli uccelli all’albeggiare.

Credo nel Dio dei maniaci-depressi, dell’ossessione psicotica, della schizofrenia allucinata. Il Dio dell’arte che denuda il reale e fa risplendere la bellezza pregna di densità spirituale. Dio ballerino che, sulla punta dei piedi, entra in silenzio sul palcoscenico del cuore e, cominciata la musica, ci afferra fino alla sazietà.

Credo nel Dio dello stupore di Maria, del camminare laborioso delle formiche e dello sbadiglio siderale dei fiorellini neri. Dio spogliato, montato su un asino, senza una pietra dove appoggiare il capo, atterrato dalla sua stessa debolezza.

Credo nel Dio che si nasconde nel rovescio nella ragione atea, che osserva l’impegno dei scienziati per decifrare il suo gioco, che si incanta con la liturgia amorosa dei corpi che giocano per ubriacare lo spirito.

Credo nel Dio intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui. Dio, misericordioso, si fa quatto fino alla nostra piccolezza, supplica un soave messaggio e chiede una ninna nanna, esausto davanti alla profusione delle idiozie umane.

Credo, soprattutto, che Dio crede in me, in ognuno di noi, in tutti gli esseri generati per il mistero abissale di tre persone unite per amore e la cui sufficienza traboccò in questa creazione sostenuta, in tutto il suo splendore, dal filo fragile del nostro atto di fede.

(Frei Betto, Un nuovo credo, nostra traduzione dallo spagnolo)

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