sabato 21 giugno 2008

Documento redatto dal gruppo dei credenti omosessuali di “Noi siamo chiesa” Emilia Romagna

Noi, omosessuali cristiani e la nostra chiesa

Nel corso del convegno intitolato "Omosessualità nel cristianesimo: approcci alternativi" , organizzato dal movimento “Noi siamo chiesa” dell'Emilia Romagna, il 20 Giugno 2008, è stata data lettura di un'interessante documento elaborato dal gruppo dei credenti omosessuali di Noi Siamo chiesa dell’Emilia Romagna “una riflessione che nasce dall'esperienza diretta di chi vive la condizione omosessuale e vuole andare oltre le discriminazioni”, affinchè le nostre comunità cristiane "si facciano promotrici di questa rivoluzione di mentalità" poichè il superamento dei pregiudizi e dell’ingiusto trattamento delle persone omosessuali passa necessariamente da una loro accoglienza nelle comunità dei credenti. Osiamo anche affermare che l’accoglienza è il primo coraggioso passo in quella direzione, quando riesca a far conoscere le persone e a metterle in comunione".

Dieci anni fa veniva emesso nella Diocesi di Innsbruck un documento sulla pastorale nei confronti delle persone omosessuali, frutto di un gruppo di lavoro costituito dall’allora vescovo Alois Kothgasser, oggi arcivescovo di Salzburg.

Questo documento, che risente già di dieci anni di evoluzione teologica successiva, è sul piano pastorale molto al di là delle aspettative che possiamo avere sulla nostra chiesa e anche in direzione opposta a quella che, negli ultimi decenni, ha preso la chiesa cattolica romana, soprattutto in Italia.

Noi, omosessuali cristiani appartenenti a Noi Siamo Chiesa dell'Emilia Romagna, leggiamo in questo documento parole che ci restituiscono conoscenza, sapienza e comunione nella chiesa, a differenza dei documenti del Magistero (in particolare le dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1975 e del 1986, assieme con le encicliche Humanae Vitae e Familiaris Consortio) che ci restituiscono misconoscenza, insipienza e disprezzo.

Per questo motivo, invitiamo a rileggere il documento di Innsbruck, ad assumerlo e ad adottarne le linee guida, nella consapevolezza di essere in forte ritardo nei confronti della storia.

In forza delle conoscenze acquisite ad oggi dalle scienze umane – che la moderna teologia ha assunto pienamente rileggendo anche l’intera questione della sessualità, la natura relazionale di Dio e la priorità della coscienza individuale – possiamo affermare che l’omosessualità, come ogni orientamento sessuale, è variante naturale della sessualità iscritta nella relazionalità umana.

Anche se a tutt’oggi non sono ancora stati chiariti pienamente la genesi e lo sviluppo dell’omosessualità, così come anche dell’eterosessualità e di ogni variante dell’orientamento sessuale, possiamo considerare l’orientamento sessuale, quale esso sia, come componente dell’autenticità della persona.

È importante sottolineare, peraltro, la perniciosa influenza che, sull’autentico sviluppo della persona, hanno i pregiudizi omofobi presenti nelle nostre società. Essi hanno costituito un tormento fin dai primi anni della crescita e ci hanno ostacolato nel normale sviluppo e floridità.
Alcuni di noi hanno conquistato a fatica un’emancipazione e una maturità piena, mentre altri ancora in età adulta portano dentro sofferenza per le conseguenze di quei patimenti. Non possiamo tacere che gli stessi pregiudizi omofobi, interiorizzati già in tenera età dalle/gli stesse/i omosessuali, sono in grado di generare nevrosi, psicosi, somatizzazioni varie, ed aumentano di due volte il rischio di suicidio nell’età adolescenziale.

Di tutto questo noi siamo consapevoli e testimoniamo che la nostra omosessualità si iscrive pienamente nell’autenticità della nostra vita, a livello interiore, interpersonale e nel rapporto positivo con Dio. Lo stesso potrebbe avvenire senza problemi a livello sociale ed ecclesiale, se non esistesse l’omofobia.

Da questo punto di vista appare prioritaria la lotta ai pregiudizi e alle discriminazioni. Non vogliamo farci illusioni: il replicarsi delle frasi offensive e delle immagini stereotipate su gay e lesbiche è un fenomeno che non può certo essere contrastato efficacemente, anche a fronte di campagne di informazione e sensibilizzazione (semmai ce ne fossero), senza un’attiva partecipazione di molte persone.

Gli stessi mezzi di informazione, la televisione e la pubblicità, si fanno solo cassa di risonanza degli stereotipi esistenti, senza cercare la verità dei fatti e rendere la vita reale delle persone, mantenendo al contempo troppe ambiguità sul collegamento omosessualità–pedofilia, che va rigettato sempre e comunque.

È quindi importante che anche le nostre comunità cristiane, in quanto agenzie educative di giovani ed adulti, si facciano promotrici di questa rivoluzione di mentalità.

Il superamento dei pregiudizi e dell’ingiusto trattamento delle persone omosessuali passa necessariamente da una loro accoglienza nelle comunità dei credenti. Osiamo anche affermare che l’accoglienza è il primo coraggioso passo in quella direzione, quando riesca a far conoscere le persone e a metterle in comunione.

Con “accoglienza”, cioè, intendiamo un complesso di azioni, necessariamente in sinergia col parroco e con tutti i responsabili della pastorale comunitaria:

• considerare positivamente la ragazza o il ragazzo che presenta un orientamento omosessuale, fin da quando si presenta il caso (tipicamente negli anni del dopo-cresima);

• evitare qualsiasi allontanamento dagli incarichi o discriminazione dei laici omosessuali (giovani o adulti) nelle attività parrocchiali o diocesane;

• dare supporto, sia come guida spirituale sia come accompagnamento ed aiuto nelle scelte di vita, ai ragazzi e agli adulti che incontrano difficoltà a causa dell’omosessualità;

• dare supporto anche alle persone del contesto familiare della persona omosessuale (genitori, fratelli e sorelle, parenti ed amici), che potrebbero vivere delle difficoltà a causa dei pregiudizi interni ed esterni alla famiglia;

• trattare l’orientamento omosessuale, benché minoritario, come legittimo negli insegnamenti, nelle omelie e nella catechesi a giovani ed adulti, evitando ogni seppur minimo collegamento con il concetto di perversione o la violenza sui minori;

Bisognerebbe inoltre (noi ne sentiamo il bisogno già da decenni) avviare un serio dibattito sull’argomento e alla luce del sole, non nei sotterranei o negli studi dei teologi, metodi questi che risentono molto del tabù, ma anche di un ipocrita desiderio di mantenere il controllo sulle coscienze e la paura di perdere i propri privilegi.

Tutto quanto detto non può avvenire, ovviamente, sulle teste delle/gli omosessuali, ma necessariamente li deve coinvolgere attivamente.

La visibilità, cioè il conoscere da parte degli altri l’orientamento sessuale, è da considerarsi – almeno in questa fase iniziale – un valore, e non qualcosa da evitare. Esso è un aspetto interiore che non pare rispettoso mettere in piazza, ma allo stesso modo con cui un eterosessuale non si vergogna di presentare a chiunque la propria fidanzata o moglie (o il proprio fidanzato o marito), allora bisogna che diventi possibile il non vergognarsi per una relazione sentimentale con una persona dello stesso sesso (comunque essa sia) che corrisponde al nostro orientamento.

Diversi di noi riescono a realizzare quest’obiettivo, in circoli di amici o anche in intere comunità, ma è necessario che questo si avveri anche nella vita quotidiana, nei luoghi di lavoro, nella vita pubblica.

Oggi sono già molte le relazioni durature omosessuali. Quelli di noi che hanno avuto la fortuna, e la responsabilità, di realizzare un progetto di coppia stabile, testimoniano che l’orientamento sessuale non pregiudica la qualità dell’amore che in esse si vive. Le nostre relazioni non sono relazioni di serie B, tantomeno di serie Z, come se consistessero solamente di amore-eros e per nulla di amore-agape, ma vivono le stesse aspirazioni e difficoltà, le stesse gioie e sofferenze, di qualsiasi relazione sentimentale.

L’assunzione di responsabilità, la cui labilità è divenuta oggi ben visibile anche nelle coppie eterosessuali, si sostanzia non di meno nelle coppie omosessuali, a seconda delle possibilità e delle condizioni in cui i due partner vivono.

Pur nell’impossibilità di avere figli naturali, le nostre relazioni non vivono confinate nella sterilità, ma sanno rendersi feconde ed attive nelle comunità (piccole o grandi), laddove vengono accolte, finanche alla responsabilità genitoriale, nei casi in cui figli naturali od adottivi si sono trovati nella condizione di dover essere accolti.

E poiché la nostra “liberazione dalla schiavitù d’Egitto” è avvenuta quando abbiamo (talvolta in età adulta) scoperto ed accolto il sorriso di Dio sulle nostre vite di omosessuali, noi facciamo memoria di questa pasqua tutte le volte che prestiamo un orecchio attento all’ascolto e senza sguardo di condanna verso le situazioni di bisogno inascoltato che incontriamo altrove nella società.

Tutti questi sono segni inequivocabili, per noi, della benedizione di Dio sulle nostre vite e sulle nostre relazioni d’amore. Ci piacerebbe che, un giorno, anche le comunità dei credenti in cui siamo inseriti prendano atto di questa benedizione e ringrazino Dio – in una celebrazione comunitaria – per questo amore che solo da Lui proviene.

Bologna 17 giugno 2008

Il gruppo di omosessuali credenti aderenti
a Noi Siamo Chiesa dell'Emilia Romagna

martedì 17 giugno 2008

Il nuovo libro di don Franco Barbero - Un'anticipazione

SONO GAY, AMO DIO, PERCHE' LA CHIESA CATTOLICA MI RIFIUTA?
Franco Barbero risponde a centinaia di mail raccolte in un volume a cura di Pasquale Quaranta


di Delia Vaccarello

Una lettera può «salvare la vita». Soprattutto se riceve una risposta di amore e di speranza che aiuta a respingere la sensazione di essere «sporchi, sbagliati, nel peccato». Soprattutto se a rispondere è don Franco Barbero. Per decenni impegnato a fianco dei poveri di diritti, dopo quarant’anni di sacerdozio, Barbero nel 2003 viene «ridotto» al laicato [dimesso dallo stato clericale, ndr]. Ma lui non muta nulla del suo impegno, tra i tanti compagni di viaggio ci sono lesbiche, gay, trans, divorziati e sposati civilmente, teologi dissenzianti. Continua la sua opera dalla postazione della Comunità cristiana di base di Pinerolo (www.viottoli.it) che ha fondato 35 anni fa. A tutti non fa mancare una parola di conforto, e la firma in calce reca sempre il "don".


«Resto nella Chiesta cattolica e ci resto come presbitero perché me lo chiede un gran numero di donne e di uomini». Le lettere che riceve don Franco e le sue risposte sono state raccolte in un prezioso libro a cura di Pasquale Quaranta di prossima uscita dal titolo «Omosessualità e Vangelo, Franco Barbero risponde», Il Segno dei Gabrielli editori. Lo stesso Pasquale, che oggi a venticinque anni, scrive a don Franco di sé: «Caro Pasquale, finalmente stai riuscendo a dirti che Dio ti vuole bene come sei. Che cosa puoi dire a quei tuoi amici che sostengono il cosiddetto “sesso senza amore”? Cerco sempre, anche nell’accompagnare gay e lesbiche, di mettere in grande risalto la valenza dei sentimenti, la possibilità di avere relazioni stabili, ma mi prefiggo anche di non incoraggiare la diffidenza verso il corpo».

Il sacerdote incoraggia i sentimenti profondi come dono di Dio, come aveva fatto celebrando i patti d’amore tra coloro che la gerarchia non riconosce «degni». Pasquale nella sua presentazione passa in rassegna da giovane credente i comportamenti verso gay e lesbiche all’interno della Chiesa cattolica che si accompagnano troppo spesso a uno sguardo negativo: «Il rispetto è condizionato da giudizi infondati e talora fortemente ostili», la considerazione di fondo è quella che ritiene gay e lesbiche persone «gravemente ostacolate nel relazionarsi correttamente con donne e uomini». Dinanzi a questi attacchi, l’autostima potrebbe frantumarsi di botto. Ma Barbero sa ricostruirla: «Oggi una eccellente produzione teologica dimostra a chiare lettere l’impossibilità di usare i testi biblici pro o contro l’omosessualità», precisa. E invita i credenti adulti ad «andare avanti senza bussare», senza chiedere permessi per vivere l’amore che benedice le unioni, perché «l’unica porta alla quale devono bussare è la porta di Dio».

Barbero risponde alla donna «che si sente sporca» perché ama un’altra donna, al sacerdote gay che dopo il travaglio dell’accettazione ha scoperto l’amore e non sa cosa fare, al papaboy attratto da un coetaneo, a Cosimo che convive da diciassette anni. Cosimo scrive: «Ho provato a confessarmi, le condizioni sono sempre le stesse: lasciare il mio compagno. La Chiesa di Roma vuole crocifiggermi negandomi l’eucarestia. A 53 anni sono stato colpito da degenerazione maculare per cui la vista va calando giorno dopo giorno e il solo a dire “ci sarò io al tuo fianco, darò io il tuo cane da guida” è stato il mio compagno cui devo tutto». La risposta è commossa, lunga e articolata. Ferma: «Per fortuna milioni di gay e lesbiche credenti vivono la loro esperienza come un dono di Dio e non si sentono più fuori dalla Chiesa. Quanto a me sono davvero riconciliato con la Chiesa. È semmai la gerarchia che non è riconciliata con me». Come si fa da espulsi a sentirsi ancora «dentro»? Semplice: l’amore è gioia, sorriso: «Sono in compagnia di un enorme schiera di donne e uomini che vivono la loro fede sotto il sorriso di Dio».

(da l'Unità, 17 giugno 2008)

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