venerdì 30 maggio 2008

Emergenza educativa

Ma non è questo che preoccupa il Vaticano!
di Marcello Vigli


Dalle parole rivolte da Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti nell'annuale assemblea della Cei si potrebbe avere l'impressione che l'Italia si stia avviando a diventare il migliore dei mondi possibili.

C'è, però, qualcosa che non va: un'emergenza educativa attraversa il paese. «Come non spendere, in questo contesto - si chiede il papa - una parola in favore di quegli specifici luoghi di formazione che sono le scuole?». Si potrebbe perdonare quest'ennesima forma d'intervento clericale non rivolto contro la 194 e i tentativi di legiferare sul testamento biologico o sulle famiglie di fatto, se si trattasse del Sistema scolastico nazionale. Il papa pensa, in verità, alle scuole confessionali e al loro finanziamento. Aggiunge, infatti, subito dopo: «In uno Stato democratico, che si onora di promuovere la libera iniziativa in ogni campo, non sembra giustificarsi l'esclusione di un adeguato sostegno all'impegno delle istituzioni ecclesiastiche nel campo scolastico». Imperdonabile il riferimento allo Stato democratico perché la nostra Repubblica, potrà pur promuovere la libera iniziativa, ma deve prima obbedire alla sua Costituzione che vieta esplicitamente e tassativamente tali finanziamenti. Certo è in buona compagnia se si pensa che ad aggirare quel divieto ha brillantemente contribuito Luigi Berlinguer con la legge che rende paritarie le scuole private legittimando i successivi provvedimenti di Moratti e Fioroni. E' in buona compagnia anche nell'argomentare in favore della sua richiesta: «E' legittimo, infatti, domandarsi se non gioverebbe alla qualità dell'insegnamento lo stimolante confronto tra centri formativi diversi suscitati, nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti, da forze popolari multiple, preoccupate di interpretare le scelte educative delle singole famiglie. Tutto lascia pensare che un simile confronto non mancherebbe di produrre effetti benefici».

Lo affermavano anche i responsabili della politica scolastica dei partiti di sinistra, dei sindacati confederali e dell'associazionismo democratico, che, snaturando la proposta di attribuire al Sistema scolastico nazionale autonomia dalle ingerenze del Ministero e degli assessorati regionali, l'hanno trasformata in attribuzione dell'autonomia delle singole scuole. L'autonomia avrebbe stimolato la concorrenza e, con questa, favorito la qualità delle prestazioni scolastiche, si diceva. La profonda crisi che sta attraversando la scuola italiana, ha ampiamente smentito le loro previsioni e quelle di quanti hanno trasgredito l'obbligo costituzionale che impone alla Repubblica di «istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi» (art. 33).

Non di più soldi alle private né di procedere nella disgregazione del sistema nazionale ci sarebbe bisogno per uscire dall'emergenza educativa di cui non solo il papa ma anche il Cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla stessa Assemblea dei vescovi, denuncia l'urgenza individuandone anche una delle cause. «Per chi è ancora inesperto e per chi non ha il senso critico necessario, la televisione diventa facilmente un territorio senza regole in cui, magari all'insegna apparentemente neutra del marketing, trovano facile veicolazione anche modelli distorti di vita». Ci sarebbe bisogno di un'agenzia educativa in grado di fornire quel senso critico e quell'autonomia dalle lusinghe del marketing: ma questa non può essere che la scuola pubblica obbligatoria e capillarmente presente sul territorio libera da ipoteche confessionali o ideologiche perché fedele, per statuto, solo ai principi ideali della Costituzione.

Certo non la scuola così com'è stata ridotta, ma quella di cui da tempo tutti auspicano una radicale riforma nei contenuti e nella formazione dei docenti oltre che negli ordinamenti e nella gestione. A questa riforma non sono interessati né la gerarchia cattolica né gli esperti, ispirati alle sue direttive, che da tempo orientano la politica ministeriale nella duplice prospettiva del raggiungimento della piena parità per le scuole confessionali e della confessionalizzazione della scuola pubblica. Nella prima direzione va la brutale richiesta del papa; nella seconda vanno sia il recente intervento della Cei per ottenere che l'insegnamento della religione cattolica esca dal ghetto della facoltatività ritagliandogli uno spazio nell'area disciplinare umanistica, nella scuola dell'obbligo, sia, in quella superiore, il recupero di potere per il docente di religione nel Consiglio di classe con il diritto a partecipare all'assegnazione dei crediti scolastici, specie alla vigilia degli esami di maturità.

Stanno arrivando al pettine i nodi aggrovigliati negli ultimi decenni della una politica scolastica delle forze democratiche che, di là dalle dichiarazioni sulla centralità della scuola per lo sviluppo della democrazia, hanno sempre lasciato agli integralisti cattolici ampio spazio di manovra per lo smantellamento della scuola pubblica. Forse anche di questo dovrà occuparsi la ricerca di una via per uscire da sinistra dalla crisi della democrazia italiana.

(da Liberazione, 30 maggio 2008)

mercoledì 28 maggio 2008

Commento al vangelo di domenica 1 giugno 2008

Non dite «Signore»,

costruite la casa!

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». (Matteo 7, 21-27)


Non chi dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre mio.

Il brano è aperto da una parola che è costruita attorno ad un’antitesi. Da una parte l’acclamazione verbalistica a Gesù, invocato da «chiunque» come Signore, e dall’altra il rimprovero di Gesù che pone l’attenzione sull’attuazione della volontà del Padre che è nei cieli, l’unico che è Signore. È il Regno ad essere centrale e non i titoli, il culto, le devozioni, le pratiche religiose, le leggi (“naturali” o divine). Ciò che conta davvero per la vita degli uomini e delle donne – come Gesù ci ha insegnato nella sua predicazione – è il Regno, la volontà di Dio.

Molti si dicono cristiani – e lo fanno con orgoglio – per una rivendicazione identitaria che nulla ha a che vedere con il Nazareno. Altri si dicono cristiani per un senso di appartenenza alla Chiesa: ma anche questo, a volte, sembra essere solo una denominazione priva di contenuto. Forse bisognerebbe concentrarsi meno sulle parole («non chi dice…») e fare più attenzione alla Parola (la Bibbia, la vita…). E se proprio non si può fare a meno di inquadrarsi all’interno di una denominazione che esprima un’identità – prima che una realtà – forse è meglio lasciare che siano gli altri a definirci cristiani.

Le parole di Gesù sono un monito contro l’ipocrisia, contro le facili categorie ed etichette che spesso si tende ad applicare alla realtà, alla persone (soprattutto agli altri). La sua attenzione è tutta per il Regno, e non certo per una chiesa (cosa che non ha mai inteso fondare). La sua predicazione si snoda attorno al concetto della volontà di Dio. Per noi si pone il problema di capire in cosa consiste questa «volontà di Dio» e cos’è la «Signoria di Dio». Vengono qui in mente le grandi parole del giudizio: «Venite prendete possesso del Regno, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, sono stato forestiero e mi avete accolto» (Mt 25, 34ss) – parole, ahimè, quanto mai attuali in questi giorni! Ma Gesù di Nazaret ci indica direttamente con l’esempio della sua vita il significato di “Regno di Dio”. La sua esperienza è esempio, è coincidenza tra parola predicata e vita vissuta. In questo sta tutta la forza del suo messaggio: in Gesù – come in pochissimi uomini nella storia – teoria e prassi sono coincise senza mortificare l’umanità. Una testimonianza che nella sua radicalità ha avuto come estrema conseguenza la morte.

Ma «Signore, noi abbiamo parlato nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome!» – dicono. Questo non basta – sembra rispondere Gesù. E del resto l’esempio è sotto gli occhi di tutti: ogni giorno c’è chi compie atti iniqui nel nome di Gesù, e peggio di Dio, arrivando a giustificare anche la guerra. (Basti pensare ai cosiddetti teo-con, teo-dem e affini…). Ogni giorno c’è chi pronuncia parole (Cristo, Signore, ecc…) che non hanno più senso, che sono inserite in una ritualità formalistica priva di aderenza alla realtà. Ogni giorno le gerarchie vaticane, sempre in nome di Gesù, proclamano anatemi e scomuniche… allontanandosi così dalla volontà di Dio che vuole «misericordia e non sacrifici» (cfr. Os, 6,6; Mt 9,12-13; Mt 12,7). Così Pasolini, con parole sempre attuali, commentava le sentenze della Sacra Rota nel 1974: «La Chiesa [nell’emanare sentenze, con il suo Codice di diritto canonico] si rivela del tutto staccata dall’insegnamento del Vangelo. Cristo viene ricordato solo attraverso formule, attraverso meri riferimenti nominali. L’amore è ignorato del tutto»1, come dire: il vangelo non c’entra nulla!

Ma è Gesù a prendere le distanze: «Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità». Egli “scomunica” a sua volta chi si fregia ipocritamente del suo nome, con una formula in uso presso i maestri che non riconoscevano più i loro discepoli.


La casa sulla roccia

Tutti vorremmo vivere su una roccia, sulla sicurezza. Invece la vita insegna che la precarietà, la debolezza, la finitezza sono parte costitutiva dell’esperienza umana (e forse è anche un bene che sia così!). Ci troviamo a vivere giorni insicuri, di paura: sentimenti che sono strumentalizzati dai media e dalla “politica acchiappa voti” e che innescano situazioni di odio, di xenofobia, di omofobia, di violenza… Le vittime sono i più deboli: rom, gay, donne, poveri… Ma Gesù ci dice che la sicurezza è nella parola, e quindi nella “conversazione” e nell’ascolto, ma anche nell’azione, nell’accoglienza. Non basta ascoltare, bisogna «mettere in pratica», guardarsi negli occhi, accogliersi e fare insieme.

Nella parabola tutto ruota sul «mettere in pratica»: è questo il distinguo tra l’uomo saggio e l’uomo stolto. Gesù, con la sua vicenda umana, ci ricorda che il Regno si costruisce giorno per giorno e con gesti concreti. Con prese di posizione che cambiano la vita, la trasformano e la aprono all’altro, al diverso.

E allora «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia». Qualsiasi cosa accadrà l’uomo saggio rimarrà coerente, non avrà di che rimproverarsi e vivrà nell’amore, senza il timore dell’insicurezza perché la sua vita si fonda su una parola messa in pratica, una parola viva.

Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
(Salmo 126, 1-2)

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1 P.P. Pasolini, La Chiesa, i peni e le vagine, in Scritti corsari, Milano 1975, pag. 192.

martedì 27 maggio 2008

Apello per una politica cristiana a sinistra

Sinistra cristiana
di Raniero La Valle

Nel deserto creatosi in Italia con le ultime elezioni, già popolato però dai fantasmi dell’intolleranza e del razzismo, molti cantieri sono all’opera per una ripresa in diverse forme del discorso politico. C’è un cantiere aperto nella destra, per costruire l’immagine di un “nuovo” Berlusconi e di uno squadrismo non fascista; c’è un cantiere aperto nella ridotta veltroniana, dove sembra annunciarsi una riconversione alle alleanze e il desiderio di un “nuovo centro-sinistra”; c’è un cantiere aperto nella sinistra, dove è in gioco il futuro di Rifondazione e di tutti i colori dell’arcobaleno.

Non c’è un cantiere per i cattolici: non avrebbe senso perché i cattolici non sono una categoria politica e la loro aggregazione non è un partito ma una Chiesa. Non che essi non siano influenti: molti di loro sono presenti nell’uno e nell’altro schieramento, e quanto a influenza nella società e nelle istituzioni la Conferenza episcopale italiana non è seconda a nessuno. Ma la stagione dell’unità politica dei cattolici è per fortuna conclusa, e ci sono buone ragioni politiche, teologiche ed ecclesiali che ne sconsigliano fermamente ogni possibile restaurazione.

Mentre sono al lavoro tanti cantieri, nella politica italiana si avverte tuttavia un vuoto pauroso, derivante dall’assenza di soggettività politiche che furono in altri momenti assai importanti e anche decisive per la crescita democratica e spirituale del Paese. Nessun problema di identità perdute, che sarebbe sterile e regressivo rivendicare. Ma c’è un problema di contenuti di elaborazione e di lotta politica che, soprattutto dopo la crisi e la sconfitta delle sinistre storiche nel tempo della globalizzazione, rischiano di essere gravemente compromessi nella progettazione del futuro. Se ne possono fare diversi elenchi; noi ne facciamo uno traendolo da fonti insuperabili della nostra tradizione comune; è l’elenco risultante dalla somma dei “segni dei tempi” della Pacem in terris e del privilegio attribuito ai poveri, ai sofferenti e ai militanti per la giustizia dalle Beatitudini evangeliche.

Si tratta di contenuti che sono assunti dal linguaggio profano e riguardano realtà storiche e temporali, proiettate però verso una pienezza di umanità quale è desiderata da Dio.

L’elenco che ne risulta è questo: ascesa delle classi lavoratrici e riscatto personalista del lavoro; dignità realizzata della donna, liberazione dei popoli dal dominio; pace come alternativa complessiva alla guerra illegittima e contraria alla ragione; democrazia internazionale e sviluppo dell’ONU, regole per il potere, diritti fondamentali e loro garanzia nelle Costituzioni; eguaglianza per natura di tutti gli esseri umani e anche delle comunità politiche; rovesciamento in una felice condizione umana dell’afflizione dei poveri, dei perseguitati, dei piangenti, delle vittime d’ingiustizia.

Non si tratta di postulati ideologici, si tratta di contenuti politici che di fatto, nell’attuale bipartizione politica che schiaccia la realtà sui due poli di destra e di sinistra, figurano come contenuti di sinistra. Per sostenerli ed attuarli potrebbero riunirsi in forma organizzata e “in modo onesto” dei gruppi di cattolici e cristiani disponibili all’impegno politico: non tutti, perché sulla sostanza e sulla realizzazione di queste cose ci sono tra i cristiani, legittimamente, come dice il Concilio, opinioni diverse e d’altronde, ponendosi questi cristiani apertamente come parte, né pretenderebbero con piglio integristico di rappresentare tutti i fedeli, né potrebbero in modo clericale rivendicare a proprio favore l’autorità della Chiesa.

Ma con quale nome potrebbero affacciarsi alla scena? Un pregiudizio fondato su una errata accezione della laicità (fare finta che la fede non ci sia), e il linguaggio oggi “politicamente corretto”, porterebbero questi credenti a restare anonimi, prendendo nomi di fantasia, tipo “Pace e diritti”, “Pace e lavoro” e simili. Ma anche questa stagione è passata. Se il nome deve corrispondere alla cosa, a contenuti di sinistra e al lottare per essi come cristiani, conviene il nome di “sinistra cristiana”. È un nome che si può assumere, nel deserto di cui abbiamo detto, senza infingimenti e senza autocensure. Non esprime un’ideologia: una sinistra cristiana è stata presente in Italia sotto diversi nomi e in diverse forme: perfino l’Opera dei Congressi fu di sinistra quando approdò all’antitemporalismo; e così fu l’”Avvenire d’Italia” di Rocco d’Adria; di sinistra cristiana furono l’intransigentismo, il proporzionalismo e la posizione anti-clericomoderata di Sturzo, lo sono stati poi i partigiani cristiani, i professorini che hanno scritto le pagine più alte della Costituzione repubblicana, la sinistra cristiana di Ossicini e di Rodano e quella democristiana di Vanoni, Mattei, Pistelli, Granelli, la Sinistra Indipendente del 1976 e la scelta politica finita nel martirio di Moro.

È una tradizione antica, che si può riproporre oggi per pensare di nuovo la politica e farla di nuovo. Non senza alleanze, incontri e salutari meticciati. Non per il potere di pochi ma per la salvezza di molti.

Articolo in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, "Rocca".

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