venerdì 4 aprile 2008

Incontro con Frei Betto a Torino

La Teologia della liberazione è viva


A chi gli dice che la Teologia della liberazione è morta lui risponde: «se è così qualcuno si è dimenticato di invitarmi al funerale!». Così ha esordito frei Betto, al secolo Carlos Alberto Libânio Christo, all’incontro tenutosi a Torino il 3 aprile scorso presso il salone dei Missionari della Consolata. Il tema della sarata, «America Latina: mercato o liberazione?», ha consentito al frate domenicano brasiliano di fare il punto, non solo sulla Teologia della liberazione (TdL), ma anche sulla situazione politica attuale del Latinoamerica.

Con la sua simpatia frei Betto ha subito conquistato tutto l’uditorio. La sua riflessione è partita dallo stato attuale e dalla genesi storica della TdL. «Il concetto di TdL era fortemente promosso dagli Usa che volevano presentarlo come movimento insurrezionale e perciò da combattere – ha spiegato – Noi che abbiamo vissuto quel movimento invece partivamo non da un’etichetta bensì dalla riflessione della fede dei poveri». Così «il primo atto della TdL è la riflessione dei cristiani nelle comunità popolari, nelle Comunità ecclesiali di base. Il testo della Bibbia viene interpretato in modo diverso a partire dal contesto in cui lo si legge secondo il triangolo ermeneutico testo – contesto – pretesto». È da questo primo atto che parte la riflessione della TdL, che è la riflessione sulla fede dalla parte dei poveri.

Frei Betto ha voluto spiegare come avviene la lettura biblica nelle comunità di base e qual è il suo significato. «La lettura biblica nelle Cebs mi ha fatto scoprire che il mio modo di leggere le Scritture era equivoco – ha spiegato - I poveri invece si guardano allo specchio quando aprono la Bibbia, la leggono a partire dal loro contesto, guardandoci dentro la loro vita. Così le persone confrontano i fatti della vita con quelli della Bibbia».

L’accusa alla TdL di essere troppo politica si spiega così: «Tutti noi facciamo politica, o facendola oppure omettendo di farla, tirandoci indietro». Non bisogna quindi cedere alla tentazione di ritirarsi dalla politica perché «sono i politici schifosi che vogliono che la politica ci faccia schifo», così che allontanandoci dalla politica loro possano gestire i loro affari senza disturbo.

Quindi la teologia ha un ruolo fondamentale nella politica perché ci ricorda come «la morte di Gesù non è avvenuta per ragioni di natura spirituale ma a causa della politica, Gesù, infatti, è stato ucciso dai due poteri politici». E così attualizzando i testi biblici scopriamo come «nei vangeli leggiamo di politica… Già Luca all’inizio del sua vangelo contestualizza la situazione politica dell’Impero al tempo del ministero di Gesù (Lc 3,1) e noi possiamo rileggerla così: ‘Nell’ottavo anno dell’Impero di Bush, mentre Napolitano governava l’Italia, Sarkozy presidente della Francia, e Brown governatore del Regno Unito…’». «Questa è la mia Bibbia – ha affermato con forza Betto - non c’è differenza tra l’epoca di cui scrive Luca e l’epoca in cui viviamo oggi».

Partendo da questo tipo di lettura, frei Betto ha dimostrato come si usa leggere la Bibbia nelle comunità popolari dell’America Latina, e ha proposto un’esilarante catechesi a partire dal vangelo del Buon Samaritano e dall’episodio della Samaritana al pozzo si Sicar. Con la sua simpatia, in grado di coinvolgere il pubblico, ha spiegato il significato politico, vitale, dei due brani proponendo un modo diverso di accogliere e di stare accanto alla vita reale delle persone.

Dopo le interpretazioni teologiche Betto si è soffermato a raccontare della situazione attuale del continente latinoamericano. «In America Latina si sta vivendo una primavera della democrazia, dopo le dittature militari e il neoliberismo, il popolo si è stancato delle oligarchie e adesso vota per chi ha il volto del popolo, anche se magari non è la persona giusta, questo è quello che è successo con le elezioni di Lula in Brasile, Morales in Bolivia, Correa in Ecuador, Chavez in Venezuela…». Un processo democratico che ha spiazzato le oligarchie dominanti e che ha provocato rabbia in loro per i disegni di ridistribuzione che alcuni di questi presidenti hanno fatto propri.

Secondo il domenicano brasiliano «questa è l’ultima occasione per l’America Latina». Purtroppo «in Europa anche i mezzi di informazione progressisti tendono a presentare come caricature questi presidenti cercando di mettere in cattiva luce i loro prezioso lavoro» così da salvaguardare gli interessi economici del Nord del Mondo che sfrutta le risorse energetiche e le materie prime dei paesi più poveri.

Un problema quello dell’energia che interessa il Brasile nella produzione dei cosiddetti biocombustibili, prodotti dalla canna da zucchero, e che frei Betto definisce Necro-combustibili perché tolgono terreno alla coltivazione di alimenti – in un paese come il Brasile dove su 200 milioni di abitanti 44 milioni soffrono di denutrizione cronica – e favoriscono il disboscamento della foresta amazzonica in cerca di nuove zone fertili che aumentino le zone di coltivazione. Un disastro ecologico.

Ma il futuro sta nella democrazia partecipativa. Infatti «La mia esperienza al governo – ha spiegato Betto – mi ha insegnato che non è vero che il potere cambia le persone, semplicemente esse si rivelano veramente per quello che sono». Bisogna creare una democrazia partecipativa dove la società civile, i movimenti, siano protagonisti dei processi politici e possano controllare i governi.

Chi è Frei Betto?

Frei Betto è considerato uno dei massimi esponenti della TdL. Nato a Belo Horizonete in Brasile nel 1944, fu leader del Movimento studentesco e della Gioventù studentesca cattolica e nel 1964 fu arrestato nel corso della repressione attuata dal governo brasiliano perché la sua attività venne giudicata sovversiva, in seguito entrò nell’Ordine domenicano come frate cooperatore domenicano. Nel ’69 fu nuovamente arrestato assieme al confratello frei Tito de Alencar, e fu torturato e imprigionato per quattro anni dalla dittatura militare brasiliana per il suo impegno politico a favore dei poveri e degli oppressi.

Attualmente frei Betto è animatore di molte comunità di base e della pastorale operaia, fino al 2004 è stato membro del governo Lula come assessore del programma di emancipazione alimentare «Fame Zero».

Tra i suoi libri si possono ricordare «Battesimo di sangue», «Mistica e spiritualità» scritto insieme a Leonardo Boff, e «Gli dei non hanno salvato l’america».


Commento al vangelo del 6 aprile

Ridare un senso alla nostra fede
di g.g.


Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si
aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Luca 24, 13-35)


«Ma lui non l’hanno visto»

Il racconto dei discepoli di Emmaus, che troviamo soltanto in Luca, costituisce una delle narrazioni più suggestive del Nuovo Testamento. La sua struttura narrativa ne fa una storia edificante, un racconto di riflessione, una spiegazione teologica della morte di Gesù in cui egli stesso spiega il significato della sua fine: «Bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E così «…spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (vv. 26-27).

Dunque il significato di questo episodio è quello di una spiegazione teologica piuttosto che una cronaca. Un racconto che comunque si propone in maniera differente rispetto agli altri racconti delle apparizioni che sono presenti nel Nuovo Testamento. Infatti «nel racconto dei discepoli di Emmaus non si parla propriamente di visione del risorto, bensì del suo riconoscimento (epigignoskein): nessuna visione sensibile, solo riconoscimento della sua presenza attiva con gli occhi della fede» (Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, pag. 546).

Le visioni, le apparizioni, la tomba vuota hanno sempre appassionato gli storici e gli esegeti e non possono non creare dubbi a chi si pone in maniera critica di fronte alla tradizione delle comunità cristiane e alla propria ricerca di fede. Un dubbio che nasce anche da fatto che nei vangeli non è mai narrata la resurrezione. Il biblista Alberto Maggi ci ricorda come: «Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: nessuno ci dice come è risorto Gesù ma tutti ci dicono come è possibile sperimentarlo resuscitato. E come è possibile sperimentarlo resuscitato? Vivendo come lui è
vissuto».


Tentare una rilettura

«Vivendo come lui è vissuto» significa riportare su un piano storico l’esperienza di fede della resurrezione. Un’esperienza quindi che diventa possibile sperimentare nelle nostre vite e in quelle degli altri, negli avvenimenti della storia, in quei continui parti che la storia fa per dare la vita, e che non sono privi di dolore e di sofferenza.

Riportare l’interesse sulla vita di Gesù, su come egli ha vissuto, significa abbandonare in qualche modo secoli di incrostazioni, di orpelli e di sovrastrutture che non appartengono all’evangelo. Riscoprire il Gesù storico, che ha vissuto per le strade della Palestina duemila anni fa, non può far altro che liberare la fede.

Questo significa anche ricondurre su un piano etico la propria esperienza di fede, ridargli un significato – cosa non facile e non immediata – che possa andare oltre all’ipostatizzazione che nei secoli è stata fatta di Gesù, fino a volerne fare un Dio. Spostarsi dalla fede in Gesù alla fede nel Dio di Gesù non è facile e molte volte è anche doloroso. Ma significa credere che la fede è vita, che gli uomini e le donne sono stati creati per vivere più che per credere, per «ben vivere» – come usano dire i popoli indigeni dell’America Latina.

«Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?»

I discepoli di Emmaus sono in cammino sulla strada, ritornano a casa dopo una delusione, dopo aver creduto che qualcosa con Gesù sarebbe potuta cambiare. In questa storia la dimensione del cammino è molto importante: non si può non camminare. Anche dopo le delusioni è importante riprendere la strada e non restare fermi sulle proprie sconfitte. E, come il pellegrino che accompagna i discepoli tenta di spiegar loro il senso delle Scritture, così anche noi bisogna cercare di ridare senso alla nostra esistenza.

Gli occhi dei discepoli sono lo strumento attraverso cui questo racconto prende corpo e si sviluppa. Nella prima parte gli occhi sono impediti, incapaci nel riconoscerlo. La loro delusione di fronte al racconto del sepolcro vuoto è grande: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele». Dopo che il Risorto «prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» gli occhi dei discepoli si aprirono e lo riconobbero. Al momento giusto, però, «lui sparì dalla loro vista».

Capita sempre così! Sul più bello ciò che avevamo tanto desiderato sparisce. Questo ci insegna che occorre stare con gli occhi aperti, cercare di riconoscere sulla strada le persone e le cose che ci vengono incontro. Sapendo riconoscere che la vita passa accanto a noi e spesso stentiamo a riconoscerla, a sentirla, a toccarla.

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