giovedì 27 marzo 2008

Sulle conversioni mediatiche

L'altra Ratisbona di Benedetto XVI
di Filippo Gentiloni

Non neghiamo certamente a Magdi Allam il diritto a convertirsi al cattolicesimo, come non negheremmo a Paolo Mieli quello di convertirsi all'islam. Affari loro. Quello che ci meraviglia - e ci scandalizza - è il chiasso mediatico certamente previsto, anzi addirittura provocato. Non ci aspettavamo certamente un battesimo celebrato addirittura dal papa, sotto gli occhi dei mass media di tutto il mondo. Perché mai? Non sarebbe stato più serio un battesimo tranquillo nella normale parrocchia della normale abitazione? Perché questa ostentazione?


Lo chiediamo al neofita e soprattutto al Vaticano. Eppure il Vaticano deve sapere bene quanto i rapporti fra il cattolicesimo e il mondo islamico siano difficili. Quanto sia stato arduo far dimenticare la gaffe di Ratisbona, quando era sembrato che Benedetto XVI attribuisse all'islam desideri di conquista. E quanto anche la conversione di Magdi Allam possa apparire al mondo islamico come una conquista.

Il Vaticano non può non tener conto del fatto che nelle guerre del mondo entri più o meno direttamente anche lo scontro religioso. I media daranno più risalto a questa conversione che non all'incontro di questi giorni in Vaticano fra teologi islamici e cristiani.

E allora perché? La risposta, forse, dovrebbe far ricorso alla paura di scomparire e al desiderio di essere presenti in prima pagina.

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Adriano Prosperi: «La storia cristiana è anche più violenta»
Il massimo storico italiano dell'età della Riforma avverte sull'uso politico della religione: «Le conversioni spettacolari aumentano i conflitti»

di Matteo Bartocci

Adriano Prosperi è ordinario di Storia dell'età della Riforma e della Controriforma alla Scuola Normale di Pisa. E' il massimo studioso italiano dell'Inquisizione romana e il suo ultimo libro per Einaudi («Dare l'anima. Storia di un infanticidio») affronta, tra l'altro, proprio il problema del battesimo.

Professor Prosperi, ci sono precedenti di un papa che battezza un musulmano a san Pietro?
All'inizio del '500, in piena riforma protestante, Leone X battezza un musulmano marocchino che da lui prende il nome di Leone Africano. E' un episodio importante per la storia della cultura europea e all'epoca fu molto noto, Africano diventò subito un personaggio pubblico molto conosciuto. Ma il processo di conversione è comunque caratterizzato da una sua spettacolarità, perché il convertito è portatore di una testimonianza importante. La storia del cristianesimo è segnata fin dall'inizio dalle conversioni. I «modelli» principali sono due, quella di Pietro, lunga e tormentata, e quella fulminea di Paolo. A volte le conversioni sono state decisive per la storia stessa della Chiesa: quella di Costantino cambia completamente la posizione dei cristiani nell'impero romano, perché da quel momento il cristianesimo si presenta come religione ufficiale.

Di recente sono tanti i convertiti «celebri». Prima di Natale lo ha fatto Tony Blair. Perché la religione torna ad avere questa funzione pubblica e politica così rilevante?
Nel Medio Evo se si convertiva il sovrano si convertiva il popolo: cuius regio eius religio. La conversione di Clodoveo dà inizio alla storia cristiana della Francia. Oggi il carattere clamoroso di una conversione discende solo dalla notorietà pubblica e dalla visibilità del personaggio. Quello di Allam è dunque un gesto che riaccende una tradizione che si era sopita. Dal '700 in poi eravamo stati abituati a considerare quello che accade nell'anima di una persona come un suo fatto spirituale, da rispettare senza invadere la sua coscienza. Anche perché insistere su un aspetto così spettacolare della conversione in passato è stato strumento di conflitti.

Crede che la Chiesa abbia intenzione di riprendere una politica di conversione a danno delle altre fedi?
Di fatto sì. Questi due atti: la preghiera per la conversione agli ebrei e il risalto alla conversione di un musulmano denotano la decisione di manifestare con forza la carica di verità del cattolicesimo. Certamente si sta aprendo un confronto sulla vera religione. Non che i cattolici abbiano iniziato, ma una violenza religiosa che sembrava sopita rischia ora di riaccendersi.

Non è imbarazzante per la Chiesa che sul principale giornale italiano il convertito definisca tutto l'Islam «fisiologicamente violento e storicamente conflittuale»?
Su questo si può discutere. Sarebbe come dire che si condanna il cristianesimo come violento perché nel '500 durante la strage di san Bartolomeo le campane di Roma suonarono a festa. Allora la religione cristiana era fortemente violenta, e la violenza era quasi essenziale alla conversione, si teorizzava che la soluzione per cancellare la differenza fosse uccidere il diverso. Anche per i sovrani: Enrico III ed Enrico IV furono uccisi da fanatici religiosi. Allo stesso modo l'Islam non è sempre stato aggressivo. Durante la lunghissima storia dell'impero turco la religione islamica era tollerante. E' accaduto di frequente che cristiani con convinzioni poco ortodosse fuggissero a Costantinopoli. E lo stesso accadde, dal 1492, con gli ebrei che rifiutarono il battesimo forzato in Spagna. Oggi sembra ovvio il contrario ma in passato il mondo musulmano rispettava gli ebrei. Quel conflitto è frutto soprattutto del XX secolo, fino ad allora gli ebrei in Palestina godevano di condizioni di tolleranza migliori rispetto agli stati cristiani d'Europa. Come vede, davanti all'assolutezza della teologia la storia dimostra che le varie posizioni si modificano nel tempo. Generalizzazioni di quel tipo su cristiani o musulmani violenti vanno semplicemente respinte.

Alcuni commentatori, soprattutto di cultura araba e fede musulmana, parlano di una «seconda Ratisbona».
Bisognerà vedere se accentuerà la conflittualità oppure, come le beatificazioni, sarà vista come un fatto celebrativo, la vittoria di alcuni seguaci religiosi su altri. Certo, la conversione è un atto pacifico, tipico del proselitismo ma è un fenomeno da non sottovalutare. Proporla come atto pubblico può accentuare il carattere religioso di un conflitto Islam-Occidente che finora è stato soprattutto politico. E' in atto in tutto il mondo un uso politico della religione di cui siamo testimoni e vittime. Il terrorismo cosiddetto islamico è un uso sistematicamente politico della religione. Ma senza scomodare Machiavelli lo stesso accade anche da noi. La religione è una forza da cui si può ricavare potere.


(articoli tratti da il manifesto di mercoledì 26 marzo 2008)

giovedì 6 marzo 2008

Tanto per ridere...

Tanto per ridere... con un tono dissacrante e per tornare ad essere un po' più leggeri proponiamo uno dei pezzi di satira che riteniamo tra i migliori dell'ultimo periodo. Corrado Guzzanti a Parla con me (Rai 3), nella puntata di domenica 2 marzo 2008, si esibisce in un'interpretazione iperrealista e tragicomica del personaggio "don Pizzarro". Un monsignore della curia romana spregiudicato ma essenzialmente aderente alla realtà dei fatti e al pensiero delle gerarchie.







Da il manifesto di martedì 4 marzo 2008.

Don Pizzarro, alza il morale della satira
di Norma Rangeri

Nella notte di Raitre è tornato Corrado Guzzanti e bisogna festeggiare. L'interprete di indimenticabili ritratti (l'affranto Rutelli durante la campagna elettorale del 2001, quando la satira alzò il morale del tele-elettore), torna a una vecchia, esilarante maschera: un monsignore dall'aspetto trasandato, con forte accento romanesco, molto pelo sullo stomaco. E soprattutto miscredente. Come ai vecchi tempi dell'Ottavo nano (il personaggio del maccheronico teologo è ripreso da quel fortunato programma), a fargli da spalla c'è Serena Dandini, ospite di padre Pizzarro a Parla con me, la domenica notte.

Questo burocrate della chiesa, che oltretutto è padre («c'ha ragione mi fijo: stamo ar medioevo»), non riesce a capire cosa vuole fare il devoto Ferrara sull'aborto. Lo va a trovare e lo scopre immerso in una vasca (omaggio allo sketch del Decameron di Daniele Luttazzi), in piena confusione («nun sa nemmeno se è d'accordo co' se stesso»), così gli propone una mediazione («tanto pe' fallo contento, j'ho detto, a Giulià famo 'na cosa più piccola, a ste ragazze levamoje i punti della patente»). Padre Pizzarro è un tipo che non ha tempo da perdere («a Giulià, er Fojo c'ha quattro pagine, la prossima enciclica ce n'ha trecento, io vado a lavorà»), e quando la Dandini si mostra delusa dal suo pragmatismo senza principi («ma padre, pensavo ci fossero dei valori dietro»), lui reagisce con un soprassalto, guardandosi le spalle («ahò, m'hai fatto spaventà»).

Tutti i temi eticamente sensibili passano sotto lo sguardo cinico del teologo senz'anima, convinto che la scienza abbia perfettamente ragione: «l'universo è a undici dimensioni, infiniti universi paralleli, ce stanno l'equazioni, ma de che stamo a parlà, ancora delle apparizioni alle pastorelle? de dio ce ne ponno sta uno come sedici, più due donne e quattro giapponesi».

A Parla con me, un'altra brava attrice, Paola Cortellesi, offre scampoli di satira sopraffina nello spot contro la laicità, famoso per lo slogan «laico, se lo conosci lo eviti, se non lo conosci è meglio». Ma il programma della Dandini, come Che tempo che fa di Fabio Fazio (con Antonio Albanese e Luciana Littizzetto), sono isolate enclave di libertà, eccezioni alla regola.

Il ritorno di Guzzanti fa solo immaginare cosa sarebbe la televisione (e questa campagna elettorale) se solo ci fosse visibilità per tutti i talenti della satira, relegati invece a tarda ora, confinati a Raitre, o democraticamente licenziati come nel caso di Luttazzi.


Di seguito il testo di Corrado Guzzanti.

Serena: bene è venuto il momento di affrontare dei temi delicatissimi ma importanti che rischiano anche di entrare in campagna elettorale, parleremo di etica, di aborto, di Dio, del rapporto fra stato e chiesa. E ho la fortuna di poterne parlare con una personalità di altissimo valore, un eminente teologo che ho già incontrato qualche anno fa. Noi vorremmo superare questo divario storico fra laici e cattolici, perché forse è venuto il momento di far cadere anche questo muro; capirci meglio, perché forse credenti e non credenti tutto sommato la pensano meno diversamente di quanto crediamo. Diamo il benvenuto a sua eminenza padre Pizzarro
Pizarro: bonasera. Ammazza quanta gente, ma che c’è a partita?
Serena: buonasera padre, ovviamente non posso che cominciare le polemiche più recenti che riguardano il tema della legge 194 sull’interruzione di gravidanza…le donne non
Pizarro: Ma guarda sta cosa io nullò capita, pure ste quattro caciarone co sti cartelli stanno a fa un porverone quanno se sta a parlà de tutto e de gnente. Guarda che io mica so antifemminista, mica dico caa donna deve fa la calza, ormai me costa più de lana che compralla già finita dai cinesi
Serena: ma come, padre, di tutto e di niente? c’è un tema che è importante tanto che ci hanno fatto anche un partito sulla la moratoria dell’aborto, no Giuliano Ferrara qual è la vostra posizione? Siete in disaccordo?
Pizarro: ma no semo d’accordo, ma non sa manco lui che vole fa lo ce so andato a parlà co’ ferrara, stava dentro a sta vasca, in una confusione…vabbè… Gli ho detto a Giulià, ma che dobbiamo fa esattamente, spiegame. che vordì a moratoria sull’aborto? A moratoria sulla pena di morte vuol dire impedire di ammazzà i condannati, a queste glie impediamo de abortì?
No dice lui, non potemo obbligà una a partorì pe forza
- allora a 194 a lasciamo così
- no, dice lui, è omicidio!
- E quindi che famo? a cambiamo sta legge?
- Nun ho detto questo
- E che hai detto giulià?
- Vojo fa na battaglia curturale
- Ma allora va fa i girotondi daa vita che ce vai a fa in parlamento in parlamento? In parlamento se fanno e leggi (voi cambià a legge? )
- Si no però Bò bà
- Gli ho detto: a giulià (guarda l’orologio) er fojo ci ha quattro paggine, a prossima enciclica ce n’ha trecentosessanta, io vado a lavorà, se vedemo n’artra vorta…
Serena: ah tutto qua?
Pizarro: ma amica mia sull’aborto due so e cose, o lo vietiamo e ricominciano quelli clandestini o lo lasciamo così, ma che poi fa partorì una pefforza? Che famo je commissariamo er corpo? Je mannamo i carabinieri? Nun ze po’ fa magari!, nun ce lo fanno fa, nun ce lo faranno mai fa. È na battaglia persa. Accontentamose, continuiamo quello che stamo a fa continuiamo a piazzà obiettori de coscienza da per tutto che poi je famo fa carriera e all’artri no e va bene così.
Al massimo jo detto a Giulià tanto pe’ fallo contento, famo ‘na cosa più piccola , ho detto a ste ragazze lavamoje i punti della patente…
Serena: i punti della patente a chi abortisce?
Pizarro: mbè? se non porti avanti a gravidanza, allora non porti manco a machina, sei n’assassina, delinguente magari me vieni pure addosso, bò a lui non glie stava bene, vabbé. . . vò andà ar senato, deve andà ar senato. . . vo’ fa na cosa sua
Serena: comunque voi continuate a vietare l’uso del preservativo, preferite che si muoia di aids piuttosto che permettere l’uso di un anticoncezionale, cos’é? Una vita che deve ancora nascere vale di più di una che c’è già?
Pizarro: esatto guarda (noi se semo concentrati proprio su) a noi ce interessa proprio la vita dal concepimento alla nascita, già un quarto d’ora dopo non gliene frega più niente a nessuno, prova a cercà n’asilo nido…
Serena: questo perché la vita di un nascituro è innocente e noi altri siamo tutti peccatori?
Pizarro: no un momento, che ‘innocente’! noi amo stabilito che la vita è innocente fino alla terza settimana, poi se carica er peccato origginale, me dispiace ma soo carica, su sto fatto daa mela ce stiamo dentro tutti…
Serena: ma almeno la pillola del giorno dopo?
Pizarro: ma te pigli na pillola il giorno prima e te ne vai a dormì
Serena: Vabbhè ci sono tante cose che dividono laici e cattolici…però non dobbiamo fare un muro contro muro, comunque siamo tutti d’accordo nella difesa della vita, che la vita è un valore assoluto. . .
Pizarro: Ma che vordì? Ma questo è un grosso equivoco a noi ce fa pure comodo ma nun è vero peggnente. . . sveiateve!
Serena: In che senso?
Pizarro: Ma che pensi che semo tutti pella vita allo stesso modo? Ma che pensi che la difesa della vita nostra e la difesa della vita nostra so uguali? Ma manco pe niente:
I laici pensano che è un valore assoluto noiartri pensamo che è un valore relativo che ci ha donato dio. Er padrone è lui e ce dobbiamo fa quello che dice lui. . . E che pensi che senfuturo la scienza se inventa un modo de fa diventà a gente immortale, che per un laico sarebbe er massimo daaaffermazione della vita, che pensi che noi semo daccordo?
Serena: no?
Pizarro: Ma nun zemo d’accordo peggnente! , amo deciso che a na cert’ora se deve morì e se deve morì! sennò ar regno dei cieli quanno ci annamo? Lo vedi che so du cose diverse? Stamo a fa er gioco delle tre carte peffà sembrà che semo tutti d’accordo ma nun semo d’accordo fondamentarmente peggnente.
Serena: perché per voi…
Pizarro: Bisogna morìììì, bisogna morìììì! Bisogna da nasce e bisogna morì! Bisogna da nasce e bisogna morì!
Serena: ho capito.
Pizarro: Ooooh! Prolife ma pure proafterlife!
Serena: Ho capito crediamo in cose diverse…
Pizarro: Ma lascia perdere il credere… credo credo. Noi stamo a lavorà, diciamo sempre le cose nostre… questo è lavoro.
Serena: Ma come lavoro. Ma allora perché questa ingerenza della Chiesa nella politica italiana?
Pizarro: Ma quali ingerenze… ma io ingerenza non sapevo manco che voleva di, pensavo a ingerire, a roba da magna… credevo che era na polemica sui sordi, sull’ici sull’8 per mille noi diciamo sempre le stesse cose, ta, ta ta, da secoli … siete voi che ci venite dietro… perché nun sapete manco più come ve chiamate, ma voi vi rendete conto di quello che diciamo? Ma hai sentito ar papa quarche domenica fa che ha detto? Ha detto che satana esiste. In zenzo metaforico? In zenzo simbolico de Er male che è in ognuno de noi? No, ha detto dice esiste proprio fisicamente na persona che se chiama satana, nze capisce se de nome o de cognome, e che sta in mezzo a noi, è proprio uno vero in carne e osse. Io gli ho pure detto a giosif: a giò, visto che ce sei, dì che sta sulla flaminia, hai visto mai saa prendono co quello che m’ha sgraffiato la macchina… poi se ne è scordato. Mica penserai che ce credemo davvero!
Serena: ma allora lei non crede
Pizarro: ma lascia perde, ma che stamo a scola? Noi famo il lavoro nostro, siete voi che ce venite dietro e più ce venite dietro e più ce tocca lavorà, mica me lamento eh? È un momento d’oro, ma devi sta pure attento a tutto quello che dici che tutti te danno retta, ma o sai che è mpeso questo? Ma o sai che è mpeso vero? Almeno quando c’era il latino la buttavamo un po’ in caciara, adesso tocca pure dì le cose precise!
Serena: ma scusi padre, voi comunque vi attenete alle parole del vangelo
Pizarro: a parola de chi? Ma che stai a scherzà? Ma te nun zai er lavoro che c’è dietro! Er lavoro dii secoli! O sai i vangeli veri quanti sono? Sedici! Dentro ce stanno le cose più assurde su quello che po’ avé detto e fatto gesù cristo da mettese le mani nei capelli!
Noi se semo capati i meglio, quelli che più ce potevano servì ma poi non sai quanto ci abbiamo lavorato sopra uuuuh (i secoli a mette e toglie) diceveno dee cose che no stavano ne in cielo ne in terra! . . .
Serena: cioè lei sta dicendo che i vangeli non sono i documenti originali ma sono stati manipolati?
Pizarro: ma che stai a scherzà? Ma te o sai la madonna de fatima qual’è l’urtima frase che ha detto alla pastorella, l’urtima frase quella vera? “Vamme a comprà le sigarette”… ma te pare che a lasciavamo? Ma ce dovreste ringrazzià!
Serena: ma si rende conto di quello che sta dichiarando pubblicamente….
Pizarro: A seré ma dechecosa? Ma guardamese neee palle dell’occhi:
Io te e dico fra me e te, dico stretta tra me e te… ma domani si te incontro pe strada nun te conosco e nun te saluto.
Serena: Ma guardi che stiamo in televisione!
Pizarro: Ee capirai, in televisione se po’ dì tutto e er contrario de tutto, domani famo la smentita e dopodomani moo scordato… capirai, co sta testa che ciò… er problema mio e de no scordammelo prima della smentita…
Serena: scusi Ma allora qual è la verità…
Pizarro: A Sere, stretta tra me e te, la verità???ma che te pensi che non li leggemo i giornali, ma che venimo dalla montagna del sapone? Che non lo sapemo l’universo come è fatto? La teoria attuale che poi è una rielaborazione della teoria delle stringhe, si chiama M theory e dice che ce stanno Undici dimensioni e infiniti universi paralleli
Serena: Ah, lei crede a questo?
Pizarro: No, questa è la realtà, no è che credo! Così stanno le cose, ce stanno le equazioni te le poi annà a vedé o sai che se viaggi in un certo modo attorno ad un buco nero supermassivo in rotazione poi viaggiare avanti e dietro nel tempo a piacere?
Serena: E quindi, scusi, infiniti universi paralleli? quindi lei è per la scienza..? dio c’é?o Non c’é? Non capisco. . .
Pizarro: Infiniti universi paralleli, a seré: Dio po esiste, non esiste, staccene quattro, due negri, du giapponesi, co a barba senza barba. . . nun conta più niente. È tutto superato, colla palla de vetro ce indovini deppiù. Per fortuna alla gente non gliene frega niente se no dovremmo pure di che non è vero. . . perché santo quarcheccosa ja parlato un angelo e ja detto che le quazioni so dee grandissime fregnacce. Artro che galileo, armeno quello era uno, lo facevi sta zitto, questi sò migliaia, so americani stanno a sti centri de scienziati sotto terra co sti acceleratori de particelle, vaje a di quarcosa te, vaglie a da foco uno a uno. Una vorta i Giordano Bruno pijavano subito. . .
Serena: Sono sconvolta lei praticamente mi sta dicendo che neanche lei crede. . .
Pizarro: Ancora con sto crede. E’ lavoro! Me interessa soltanto ogni tanto paa curiosità de capì come è fatto l’universo quello vero. . . anche perché noi poracci pe tutto il giorno stiamo in un mondo de fantasia… pure te ogni tanto dovrai staccà co sti comici mica te li porti pure a casa…
Serena: Sono allibita. . . pensavo ci fossero dei valori dietro..
Pizarro: (si volta di scatto) ma che sei matta? , me fai pià un corpo!
Serena: senta comunque a prescindere dalla dottrina su cui uno può anche avere dei dubbi, l’idea di Dio però è ancora molto forte, molte persone comunque credono in qualcosa perché dicono che tutto è troppo perfetto e non può essersi creato da solo, con l’evoluzione
Pizarro: brava, cioè te non riesci a crede che tutto se po’ esse creato da solo allora te inventi uno che non solo s’è creato da solo ma ha pure creato tutto il resto, ma allora te voi proprio complicà a vita. Niente stamo ar medioevo quà, stamo ar medioevo…
Serena: ma scusi ma allora qual è il senso della vita? Qual è il fine, lo scopo della vita?
Pizarro: a seré imparete sta filastrocca: er senso della vita è la vita, er fine della vita è la fine!
Serena: buonasera
Pizarro: buonasera… niente stamo ar medioevo proprio… c’ha ragione mio figlio

domenica 2 marzo 2008

Predicazione per l'eucaristia comunitaria - Pinerolo 2 marzo 2008

Il cieco nato. Il peccato di chi si crede completo, la grazia di chi aspetta di esserlo. (Gv 9).

di g.g.


Un racconto di inclusione.

Il centro dell’episodio non è il miracolo in sé, ma il dibattito che né scaturisce. Una disputa teologica – come è tipico del vangelo di Giovanni. Tutto si snoda e parte dai diversi interrogatori che i protagonisti subiscono. Questa è la storia di un cieco che viene alla luce e di uomini che presumono di vedere e per questo restano condannati alle tenebre.

Nel racconto leggiamo due movimenti: uno di inclusione e un altro di esclusione. Il primo è la storia di un uomo, non completamente creato, cieco dalla nascita. Escluso dalla piena partecipazione ad Israele e – proprio a causa di questo suo difetto – escluso dal culto secondo le norme di purità. Il difetto esclude, la vittima viene incolpata perché infetta tutta la società. La malattia del cieco è segno di peccato, di colpa – almeno così è percepita dalla società – e anche i discepoli si interrogano: «Chi ha peccato?». Chi è il responsabile della colpa che ha fatto si che quest’uomo nascesse cieco? Gesù riesce a trasformare nell’incontro con un uomo il segno del peccato in un’occasione di salvezza. Concretamente. A Gesù non interessa l’origine della sofferenza ma il significato che essa assume nel piano di Dio. Un piano, un disegno, a cui si collega il gesto di Gesù.

La terra (adamah) impastata con la saliva è il gesto della creazione, della continua creazione del mondo da parte di Dio, evento al quale tutti gli uomini e le donne devono cooperare prolungando questo gesto d’amore che impasta terra e vita, fango e saliva. I giovani riuniti a Medellin nel 1968, durante l’assemblea del Celam (Conferenza episcopato latinoamericana) non ebbero paura di affermare nella loro professione di fede di credere «in un Dio, creatore di un mondo non ancora finito, non di un mondo che è così e che così deve continuare – come se Dio avesse proposto un piano eterno di sviluppo – nel quale noi non possiamo partecipare». Dimostrarono di aver voglia di cambiamento, di voler cooperare alla creazione del mondo degli uomini e delle donne attraverso un processo di liberazione e di responsabilità.

Gesù aiuta quest’uomo a completarsi, a terminare la sua creazione. Il cieco viene mandato a purificarsi nella piscina di Siloe e riacquista la vista. Da questo momento torna ad essere membro della società, torna ad avere voce. A questo punto del racconto, infatti, egli acquista una soggettività, diventa protagonista, la gente lo degna di considerazione dandogli del “tu”. I farisei lo interrogano, anche se vorrebbero continuare ad escluderlo: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!». Ma il cieco risponde lucidamente e riporta i farisei a rapportarsi con lui in un “noi”: «Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta».

Il racconto dell’escusione.
Il cieco nato comincia come escluso. «Egli rappresenta un esercizio per la curiosità dei passanti che si domandano sulle cause morali delle sventure fisiche» (J. Alison, Fede oltre il risentimento, Ancona - Massa 2007, pag. 23). Il problema nasce dalla guarigione compiuta in un giorno di sabato. Eppure anche questo richiama inconfondibilmente il continuarsi della Creazione. Qui sta il problema dei farisei che si domandano la liceità di questa guarigione. Essi in un primo tempo cercano di negare il fatto, ma non ci riescono. A questo punto chiamano il cieco a testimoniare tentando di fargli dire, di costruire una versione dei fatti, che riconosca la fonte peccaminosa da cui proviene il miracolo. L’ex cieco risponde: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». (9,25). Una risposta straordinaria. «L’uomo dimostra una sana indifferenza verso la dimensione morale della questione» (J. Alison, op. cit., pag. 26). L’ex cieco si rifiuta di diventare complice dei farisei che vorrebbero da lui un giudizio negativo. I farisei vengono messi in crisi, nella loro unità e sicurezza, dalla lucidità del guarito e per questo lo cacciano.

Il sovvertimento.
Il racconto del cieco nato è il paradigma del rovesciamento del peccato dall’interno. Egli non fa nulla per meritarsi la guarigione, la riceve soltanto. Il problema – affinché Dio possa continuare nella creazione – non è il cieco nato ma coloro che pensano di essere completi, giusti, finiti. «E sono convinti che la creazione, almeno per quello che li riguarda, sia terminata. Per questa ragione pensano che la rettitudine consista nel mantenere l’ordine stabilito con i loro mezzi: la bontà è definita a partire dall’unità», dall’appartenenza al gruppo «a scapito e in contrapposizione al cattivo escluso. I giusti del gruppo, che pensano di poter vedere, diventano ciechi proprio sostenendo a oltranza quell’ordine che pensavano di dover difendere» (Alison, pag. 31-32). Il significato che Giovanni attribuisce al sabato è quello del simbolo della creazione ancora incompleta.

Franco Barbero ci ha ricordato come «non possiamo non constatare che una delle perfidie della nostra istituzione ecclesiastica, una delle più pesanti responsabilità lungo i secoli è stato questo occultamento della verità, questo tentativo di mantenere le persone nella cecità, questo strangolamento delle voci libere, questa repressione della libertà. Sono i custodi della Legge, i “sacerdoti”, i detentori della verità che hanno paura della luce. Quanti occhi vengono impediti e quante voci soffocate in nome di Dio».

Il rischio è anche il nostro.
Quello che il vangelo ci offre non è una legge, un criterio fisso, una teoria, ma una storia dinamica di incontro con l’altro, con il diverso, con l’escluso. La storia agisce in maniera sovversiva, e noi spesso nemmeno ce ne accorgiamo! Istintivamente, leggendo questo brano del vangelo di Giovanni, tendiamo ad identificarci con il cieco nato, con l’escluso. Eppure molte volte ci ritroviamo, invece, ad assumere i panni dei “buoni” della situazione – in questo caso i farisei. Identificandosi con la “bontà” che esclude, la giustizia del gruppo, non sempre riusciamo ad avvicinarci concretamente a chi non sembra essere giusto, buono, gentile, pulito… Il rischio è anche il nostro. Quello di stare dalla parte di chi crede di avere Dio in tasca, di possederlo. Di essere sempre dalla parte della ragione e mai del torto.

La dinamica del sovvertimento che l’evangelo ci insegna ci porta oltre tutto ciò. Ci spinge a voler cambiare queste divisioni, queste concezioni, queste categorie… che a lungo andare tendono ad escludere, a costruire un qualcosa che sia socialmente accettabile, ma che finisce per essere umanamente alienante e spiritualmente sterile.

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Bibliografia consultata:

- AA.VV., I vangeli, Cittadella, Assisi 1975.
- J. Alison
, Fede oltre il risentimento, Transeuropa, Ancona-Massa 2007.
-http://donfrancobarbero.blogspot.com/2008/02/quando-i-ciechi-vedono.html

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